La “chiesa debole” del terzo millennio
Rinnovamento della vita religiosa
Nel corso di questi 50 anni molti aggiustamenti sono stati effettuati per “l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi“, spesso però più di carattere giuridico-amministrativo che di carattere sostanziale. La penuria di vocazioni nelle nazioni occidentali ha dato vita ad una sorta di “tratta delle novizie” internazionale denunciata in modo tanto severo da Papa Francesco (fonte). A seguito di numerosi problemi creati da una gestione dissennata dei beni mobiliari e immobiliari di vari istituti religiosi, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha pubblicato alcune linee guida per l’amministrazione (fonte).
In realtà pare che tutto sia ordinato al mantenimento dello status quo piuttosto che al rinnovamento nello spirito conciliare, sia in riferimento alle opere degli istituti – spesso non più necessarie né in linea con i tempi – sia in riferimento ai beni materiali – spesso utilizzati senza più un reale legame con l’intenzione originaria o con le finalità delle Costituzioni -.
Mi permetto qui di ricordare un aneddoto molto esplicativo. Predicavo un corso di esercizi spirituali ed erano presenti alcune Superiore Generali di diverse congregazioni religiose. Una di loro in particolare durante un colloquio privato si era mostrata particolarmente preoccupata per la penuria di vocazioni del suo istituto. Ormai restavano meno di 30 suore e tutte anziane, impegnate nella gestione di una casa di riposo per anziani. Le ho chiesto quale fosse il loro carisma e la Superiora mi rispose essere la cura delle ragazze in pericolo morale. E aggiunse: “Non quelle già cadute, solo quelle in pericolo!”. Cioè, commentai io forse un po’ troppo ironicamente, tutte. Ma in che modo conciliare la gestione della casa di riposo per anziani con un carisma tanto selettivo? Mi rispose che le ragazze in pericolo morale non si rivolgevano più a loro e quindi per poter sostenere le spese dell’Istituto le suore erano state costrette ad avviare nuove attività. Le spiegai che il Signore non manda vocazioni se non sono più necessarie e che in questi casi sarebbe meglio confederarsi o addirittura fondersi con istituti dal carisma simile per non far morire del tutto l’intuizione originaria dei fondatori. La Superiora non fu molto contenta della mia risposta e da allora non l’ho più rivista.
Ciao Ugo,
storicamente quasi (metto il quasi perché la storia è il regno delle eccezioni e non ammette mai regole universali ed immortali) tutti i movimenti di rinnovamento della Chiesa la hanno vista cercare di tornare, ovviamente in modo parziale, allo spirito, se non alla lettera, della Chiesa subapostolica, spesso appoggiandosi alla forza morale e spirituali dei nuovi ordini monacali del periodo.
Così fu per la Riforma Gregoriana che sfruttò la spinta innovativa di Cluny, così fu per il IV Concilio Lateranense con il riconoscimento degli Ordini Mendicanti e pure nel Concilio di Trento l’influenza della pur recente Compagnia di Gesù non fu affatto secondaria.
Quindi non posso che concordare con te, il tornare della Chiesa a fare “come in terra di missione” è la strada e personalmente l’esperienza che sto recentemente vivendo di “ritrovo spirituale” con dei fratelli a casa di uno di loro la sento fra l’altro come utilissima proprio per uscire anche dalla tentazione (ma spesso anche obbligo) del formalismo che, giustamente, ricordi.
Alessandro