La “chiesa debole” del terzo millennio
Abbandono del matrimonio concordatario e istituzione di una o più forme matrimoniali diverse
Tra gli argomenti che non potranno facilmente essere elusi nel III millennio cristiano si trova quello del matrimonio in quanto sacramento, della sua celebrazione liturgica, della sua collocazione nella vita comunitaria, dei suoi rapporti con la società civile.
In tempi recenti Papa Francesco ha pubblicato l’esortazione apostolica Amoris Letitia la cui accettazione tante resistenze ha incontrato, come è stato controverso il Sinodo sulla Famiglia che l’ha auspicata.
I padri conciliari erano ben consapevoli che fosse necessario distinguere “le realtà permanenti dalle forme mutevoli” (GS 52) in tutti i campi umani ma specialmente riguardo a matrimonio e famiglia. Ecco perché rimettere mano ad una forma sacramentale fissata da cinque secoli appare se non urgente quantomeno opportuno.
Non solo. La saldatura trono-altare si mostra refrattaria ad ogni tentativo di critica proprio sulla questione matrimoniale. Ne è prova la ferma volontà di mantenere in esistenza il cosiddetto matrimonio concordatario, cioè il matrimonio sacramento valido agli effetti civili. Eppure sarebbe da domandarsi se non sia giunto il tempo di archiviare tale esperienza come una parentesi che ha esaurito il suo compito e intraprendere nuove strade (ne ho parlato provocatoriamente qui, qui e qui).
Aneddoto. Nei primi anni 2000 partecipai ad un convegno su matrimonio e famiglia con la presenza di laiche e laici. Divisi in gruppi di lavoro, io mi ritrovai nell’aula magna della Pontificia Università Lateranense. Dopo un paio di interventi presi la parola ed esposi le mie posizioni sul matrimonio concordatario e sulle necessità di una nuova forma matrimoniale nonché di accompagnamento delle future coppie di sposi (famiglia di famiglie). Il mio intervento fu interrotto diverse volte dagli applausi delle laiche e dei laici presenti che riempivano i posti dell’aula, a sottolineare i passaggi salienti, specialmente l’abbandono del matrimonio concordatario. Al termine degli interventi, dal banco dei relatori non mi fu indirizzata nessuna replica. Usciti gli atti del convegno non vi si trovò traccia del mio intervento.
L’istituzione di una nuova forma matrimoniale (o persino di nuove forme, al plurale, rispettose delle diversità culturali e locali) più adatta al confronto con la mentalità corrente deve essere vista come servizio alla famiglia e non come sovvertimento di valori atavici e tradizionali. In particolare poi sembra ineludibile per la comunità cristiana affrontare responsabilmente la pluralità dei modelli di famiglia tipici di società pluraliste, senza con ciò delegittimare in alcun modo il bene presente in ogni forma di comunione umana (ne ho scritto qui e qui).
Le legislazioni nazionali che codificano separazioni, divorzi e forme di unione alternative al matrimonio o matrimoni tra persone dello stesso sesso o tra più persone sono solo una parte del problema, nemmeno il principale, nemmeno il più grande, forse in parte provocato proprio dalla debolezza di una chiesa incapace di conversione.
Ciao Ugo,
storicamente quasi (metto il quasi perché la storia è il regno delle eccezioni e non ammette mai regole universali ed immortali) tutti i movimenti di rinnovamento della Chiesa la hanno vista cercare di tornare, ovviamente in modo parziale, allo spirito, se non alla lettera, della Chiesa subapostolica, spesso appoggiandosi alla forza morale e spirituali dei nuovi ordini monacali del periodo.
Così fu per la Riforma Gregoriana che sfruttò la spinta innovativa di Cluny, così fu per il IV Concilio Lateranense con il riconoscimento degli Ordini Mendicanti e pure nel Concilio di Trento l’influenza della pur recente Compagnia di Gesù non fu affatto secondaria.
Quindi non posso che concordare con te, il tornare della Chiesa a fare “come in terra di missione” è la strada e personalmente l’esperienza che sto recentemente vivendo di “ritrovo spirituale” con dei fratelli a casa di uno di loro la sento fra l’altro come utilissima proprio per uscire anche dalla tentazione (ma spesso anche obbligo) del formalismo che, giustamente, ricordi.
Alessandro