La “chiesa debole” del terzo millennio
Trasparenza nella gestione dei beni materiali appartenenti alla chiesa
Sono già intervenuto sulla questione dell’8×1000 (qui): in sintesi ritengo che la chiesa italiana dovrebbe quanto prima trovare il modo per disconnettersi da tale modalità di finanziamento e responsabilizzare la comunità cristiana in altra maniera.
Credo che la soluzione ai beni materiali della chiesa sia mediana tra due posizioni estreme: quella comunistica radicale e quella pauperistica idealizzata. Finché siamo con i piedi su questa terra nessuno può fare a meno del possesso e dell’uso dei beni materiali. Certo è che secondo il Rosmini i soldi costituiscono la quinta delle cinque piaghe della chiesa (fonte). Significativo il fatto che nell’indice dei libri proibiti la Sacra Congregazione dell’Indice inserisse nel 1849 esattamente questa opera di colui che oggi la chiesa venera come beato.
“La Chiesa primitiva era povera, ma libera” scrive il beato perseguitato dalla chiesa per le sue idee sovversive. Tale dovrebbe essere il criterio con cui la chiesa affronta le questioni economiche e finanziarie, la libertà. Libertà interiore e libertà dalla dipendenza da poteri pubblici.
In effetti possesso e uso dei beni materiali mette immediatamente la chiesa in relazione con la testimonianza di fronte alle autorità e alle istituzioni. Rileggendo Gaudium et Spes 76 si coglie lo spessore della preoccupazione dei padri conciliari:
Le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.
Ma anche nella speranza che la chiesa riuscisse ad affrancarsi dalla dipendenza dai poteri pubblici per ottenere il legittimo sostentamento dei ministri e il finanziamento delle sue attività benefiche, resta un margine imponderabile di beni posseduti dei quali rendere conto.
Sostengo la tesi che su tali beni valga da una parte il maggiore coinvolgimento possibile dei laici e dall’altra la maggiore trasparenza possibile, anche con la sperimentazione di forme di pubblicità dei bilanci capillari e attendibili. Ne ho scritto nelle conclusioni del Rapporto statistico già citato (qui).
Ciao Ugo,
storicamente quasi (metto il quasi perché la storia è il regno delle eccezioni e non ammette mai regole universali ed immortali) tutti i movimenti di rinnovamento della Chiesa la hanno vista cercare di tornare, ovviamente in modo parziale, allo spirito, se non alla lettera, della Chiesa subapostolica, spesso appoggiandosi alla forza morale e spirituali dei nuovi ordini monacali del periodo.
Così fu per la Riforma Gregoriana che sfruttò la spinta innovativa di Cluny, così fu per il IV Concilio Lateranense con il riconoscimento degli Ordini Mendicanti e pure nel Concilio di Trento l’influenza della pur recente Compagnia di Gesù non fu affatto secondaria.
Quindi non posso che concordare con te, il tornare della Chiesa a fare “come in terra di missione” è la strada e personalmente l’esperienza che sto recentemente vivendo di “ritrovo spirituale” con dei fratelli a casa di uno di loro la sento fra l’altro come utilissima proprio per uscire anche dalla tentazione (ma spesso anche obbligo) del formalismo che, giustamente, ricordi.
Alessandro