La chiesa è di pietra e di sudore
La chiesa è di pietra e di sudore.
Pensò così il giovane, non appena sedette sul banco di legno nella navata dell’antico monastero. Il silenzio gli feriva i timpani. Saranno state le 13. La luce filtrava dall’alto, da finestre di onice chiaro traslucido. Scendeva giù per le pareti rustiche e si andava ad infilare nel coro, dietro l’altare. Le pietre chiare, disposte con matematica precisione, parevano toccarla appena, lasciandola andare per colpire il legno degli scranni.
Il giovane notò una macchia bianca tra i sedili del coro. Un monaco.
Si alzò e si diresse verso di lui. Non ebbe il coraggio di salire il gradino davanti all’altare, un blocco di marmo essenziale sovrastato da una croce.
Udì un fruscio. Il monaco si era alzato. Ancora rivestito del suo cappuccio immacolato si dirigeva verso di lui. Il giovane allungò la mano come per trattenerlo.
“Padre!”
“Dimmi! Cosa cerchi?”
“Mi hanno detto che qui c’è una farmacia, sto cercando il monaco della farmacia”
“Sono io”
Il giovane esitò. Il monaco della farmacia. Quello che gli avevano detto essere un santo. Era lì. Davanti a lui. Un brivido.
“Padre…”
“Dimmi! Cosa ti serve? Che male hai?”
“Non sto male, padre. Volevo solo fare una domanda”
“Dimmi”
Il volto del monaco era ancora coperto dal cappuccio che faceva ombra ai dettagli. Ma dalla voce il giovane percepiva un senso di serena dolcezza. Il giovane afferrò il coraggio.
“Padre, vorrei sapere come posso fare per diventare santo”
Il monaco lentamente portò le mani al cappuccio e lo abbassò. Al giovane apparve il viso di un uomo senza rughe. La barba bianca, sottile, a filo guancia tradiva un’età matura. Il monaco lo fissava, confondendo il suo sguardo con l’azzurro dei suoi occhi.
“È una bella richiesta. Non me la fa mai nessuno. Se sei davvero disposto a sapere la risposta seguimi e te la mostrerò”
“Magari, padre!”
Il cuore del giovane cominciò a battere forte. Per la curiosità, forse, più che per l’emozione. Mentre il monaco farmacista si era voltato e si era diretto verso una porticina seminascosta dietro al coro. Il giovane prese a seguirlo.
“Dall’accento non mi sembri di qui. Da dove vieni?“, chiese il monaco mentre richiudeva la porticina di legno alle loro spalle.
“È vero, vengo da un paese più a ovest, vengo da…”
Il monaco lo interruppe.
“Saliamo”
Gli mostrò una scaletta a chiocciola, anch’essa di pietra, stretta, poco illuminata. I gradini erano lisi al centro. Il giovane prese a contarli. Ma incominciò a girargli la testa e dovette fermarsi.
“Problemi?” chiese il monaco.
“No” mentì il giovane.
Entrarono in una biblioteca enorme. I libri, di tutte le dimensioni e di tutte le fogge, arrivavano fino al soffitto.
“Qui tra tutta questa conoscenza e sapienza non è difficile diventare santi!” esclamò il giovane.
Il monaco sorrise.
“Dici? Eppure qui dentro si sono perse nelle strade della vanità e della superbia le più belle anime della storia”
Attraversarono a grandi passi la biblioteca. Una porta a vetri li introdusse in un giardino, metà giardino metà orto. C’era un pozzo, l’acqua. Alcuni uccelli come a casa loro.
“La natura mi ha sempre affascinato, sembra che sia un messaggio di Dio. Deve essere così che si diventa santi”
Il monaco si fermò e si voltò. Fissò il giovane con un’aria quasi di rimprovero.
“Se la natura avesse il potere di far diventare santi i suoi cultori, ornitorinchi e amanite sarebbero già in paradiso”
Rientrarono nel monastero dalla parte opposta del giardino. Il giovane osservò il corridoio che avevano davanti a loro. Nel fondo una porticina. Il monaco si fermò, mise in tasca la mano ed estrasse una grossa chiave di ferro.
“Ora entrerai nel santuario della santità”
Il giovane iniziò a provare timore. Il monaco girò la chiave nella serratura. Una. Due. Tre mandate. La porta si aprì.
La stanza era quadrata, poco illuminata. C’erano alcune sedie, non si capiva bene quante fossero. Gli scuri di una lunga finestra si percepivano alla parte opposta della porta. Il giovane si guardò intorno. Nessuna immagine. Nessuna suppellettile.
Il monaco aprì gli scuri della finestra. Che solo allora apparve in tutta la sua enormità. Quasi mezza parete.
E sedette.
Il giovane era rimasto in piedi dietro di lui. Il silenzio. Guardava fuori. Il panorama immobile di un borgo, di una valle, alcune montagne sullo sfondo. Le strade, i tetti delle case.
Il monaco fece un cenno. Il giovane sedette accanto a lui.
“Questa è la mia cappella, il luogo della mia preghiera” disse il monaco con una voce ancora più serena, ancora più dolce mentre i suoi occhi trasognavano dalla finestra.
“Ma… per diventare santo?” azzardò il giovane a bassa voce.
“Per diventare santo devi scegliere il mondo. Devi scegliere da che parte di mondo stare. E stare nel mondo per sollevarne l’umanità”
“Padre, non capisco. Lei ha lasciato il mondo, si è rinchiuso in monastero…”
Il monaco si voltò a guardare il giovane. Capiva il suo disorientamento.
“Io non ho lasciato il mondo, io non mi sono rinchiuso in monastero. Io ho preso il mondo e l’ho portato qui. Vedi quel tetto? Lì abita Vittoria con i suoi 3 figli. Armando, il marito, l’ha abbandonata per una più giovane. Una cosa del mondo. Io coltivo l’orto per lei e per i suoi figli. Quando viene a trovarmi le do sempre qualcosa da portare a casa. E quella strada laggiù, la vedi? Ci passa un carretto proprio ora. È Ludovico. Sta portando il foraggio agli animali. Ludovico ha una dermatite aurea. Nella mia farmacia gli preparo qualcosa per le sue vene e per il suo prurito. Lui viene a prendere quello che gli serve e talvolta mi porta un po’ di formaggio o qualche taglio di carne. E tutto il monastero mangia”
“Padre, ma lei conosce…”
“Conosco uno per uno quei tetti, quelle strade, quelle persone. Mi metto qui e prego, accompagno tutti loro nella vita, non li lascio soli, faccio quello che serve loro per aiutarli a vivere. Guarda laggiù, quella strada”
“La riconosco, l’ho fatta per salire al monastero”
“Ti ho visto arrivare e sono sceso in chiesa ad aspettarti”
Tacque.
Ma quindi?, pensò il giovane. La santità… essere puri… la mortificazione… dire tutti i giorni il rosario… andare a messa… non peccare…
“Lei è davvero un santo, padre!”
Il monaco farmacista scoppiò in una risata di gusto.
“Scherzi? Io mi sono scelto la parte più facile. Non è santità la mia, è debolezza. Tutti sono capaci di fare quello che faccio io. Spero solo che il Buon Dio non si faccia ingannare dalle apparenze e voglia santificarmi un poco lui. Invece tu che sei giovane e forte se vuoi diventare santo allora scegliti qualcosa di difficile, qualcosa dove sai che gli altri fallirebbero”
Il giovane si voltò verso il monaco.
“E se non riesco?”
“Ma tu: stai cercando di diventare santo o stai cercando il successo?”
Dalla finestra il panorama baciato dal sole sembrava ancora più immobile. Uno spicchio di mondo senza tempo. Di umanità senza storia. Di cose quotidiane senza valore. Il panorama di una santità ordinaria, senza pretese.