La fine dell’Italia e l’avvento di un’Europa guelfa
La fine dell’Italia e l’avvento di un’Europa guelfa
Note sul futuro dello stato nazionale italiano e dell’Unione Europea
Giorgio Benigni
Maggio 2010
Lo scenario che abbiamo davanti come italiani di qui ai prossimi 5-10 anni, non è la fine delle libertà democratiche e il ritorno di un nuovo autoritarismo, è la fine dell’Italia come Stato nazionale nato dal Risorgimento e il ritorno, di nuovo, all’Italia come “espressione geografica”. A 150 anni di distanza, l’unità nazionale rischia di rivelarsi un accidente, una parentesi.
Due fattori concorrono al determinarsi di questa possibilità: la crisi finanziaria ed economica dell’Europa e la crisi della Chiesa. Ma ovviamente perché una simile prospettiva si realizzi non bastano le condizioni, ci vogliono i soggetti e il soggetto politico e culturale in grado di determinare questa cesura esiste. È il più vecchio partito del parlamento italiano: la Lega.
Da partito di protesta, dei “baluba”, delle valli prealpine, la Lega è diventata un partito che governa e che detta l’agenda politica del governo. Non però un “partito di governo” in senso classico. Alla Lega infatti non interessa l’equilibrio, la governabilità, la tenuta dei conti, e se gli interessano è solo per un calcolo contingente. Alla Lega interessa un equilibrio nuovo. Concepisce la mediazione non come composizione del contrasto e raggiungimento di un equilibrio ma come tappa verso la realizzazione di quello che potremmo chiamare il suo “programma massimo”: la fine dello Stato nazionale unitario. Il feticcio del “federalismo fiscale” in questo senso non è altro che una sorta di “programma minimo” che ha lo scopo di occupare la dialettica politica e parlamentare ma che non può essere lo strumento per riordinare lo Stato quanto piuttosto l’acceleratore in grado di farlo saltare. Giova a questo proposito paragonare il gradualismo “leninista” della Lega a quello “moroteo” della DC. Anche la DC e nella DC più di tutti Aldo Moro aveva una concezione graduale della politica. Nel lessico politico del tempo si parlava di “fasi”. La “prima fase”, il centrismo degli anni ‘50, la “seconda fase” il centrosinistra con i socialisti degli anni ‘60, la “terza fase” la solidarietà nazionale con i comunisti alla fine degli anni ‘70. Ma le fasi di Aldo Moro si spiegano nel senso dell’“allargamento della base democratica dello Stato” ovvero rappresentano lo sforzo di promuovere il riconoscimento di tutti quei pezzi di società, “le masse escluse” si diceva allora, nel nuovo Stato nazionale repubblicano e democratico. In questo senso l’azione politica inclusiva di Moro e della DC rappresentano il compimento del cammino intrapreso dall’Italia risorgimentale nell’800. La Lega invece lavora ad uno schema diverso: l’esclusione di pezzi di territorio dalla comunità nazionale, la coincidenza della “base democratica” non con lo Stato nazionale ma con la comunità locale dei simili, degli omogenei. Questo avviene attraverso l’affermazione di due principi che minano alla base l’idea dello Stato: il primato del principio della cittadinanza locale su quello della cittadinanza statale, il primato della “giustizia commutativa” territoriale su quello della “giustizia distributiva” sociale: ovvero non da ciascuno secondo le sue capacità, ma a ciascuno secondo le sue capacità. Ad ogni territorio secondo quanto produce, secondo quanto contribuisce, secondo quanto merita. I bisogni non sono contemplati. La sfida che pone la Lega, anche se sembra un paradosso, è una sfida etica, il sud cambia status: non è più l’area depressa che necessita di interventi redistributivi ma un territorio che “vive al di sopra delle proprie possibilità” (1). La Lega sembra in questo senso assumere un’antropologia calvinista che paradossalmente non ha incontrato fino ad ora una chiara e netta ostilità della Chiesa Cattolica.
In conclusione, il laburismo calvinista della Lega, un laburismo commutativo e non distributivo, di territorio e non di classe, della differenza e non dell’uguaglianza sta crescendo fortemente nei consensi perché difende i lavoratori delle industrie da due minacce: il dumping sociale che viene dalla Cina, dai “forsennati del lavoro” cinesi e il dumping produttivo che viene dagli scioperati del lavoro del Mezzogiorno. Il primo evidenzia un’ingiustizia nella concorrenza, il secondo un’ingiustizia nel carico fiscale. Per il progetto politico e culturale della Lega, ovvero la restaurazione di un’idea territoriale e non sociale di giustizia, la crisi dell’Euro e la crisi della Chiesa rappresentano un’occasione storica.
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Luca Zaia, 5 maggio 2010, illustrazione del programma della nuova giunta regionale. Sono impressionanti al riguardo le parole usate dal neogovernatore Zaia nei confronti del sud chiamato a un “reale riscatto etico civile, economico e operoso di quei territori”.
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