La fine dell’Italia e l’avvento di un’Europa guelfa

La fine dell’Italia e l’avvento di un’Europa guelfa
Note sul futuro dello stato nazionale italiano e dell’Unione Europea
Giorgio Benigni

La crisi della Chiesa

Nella storia moderna e contemporanea è difficile ricordare una stagione di così forte crollo di credibilità e autorevolezza della Chiesa Cattolica. Seppure per molti versi annunciato, l’attacco mediatico sulla pedofilia ha colto la Chiesa assolutamente impreparata. È forte l’analogia con l’attacco speculativo nei confronti dell’Euro. A parte alcune coraggiose prese di posizione del Papa, la risposta generale all’attacco, da parte della Curia e del collegio Cardinalizio, è stata l’arrocco; scarsa messa in discussione, nessun riconoscimento della necessità di avviare un cammino di conversione interno, nessuna scommessa sulla dimensione pastorale per non dire profetica. Da tutto questo risulta chiaro quanto la Chiesa, come l’Unione Europea, viva al suo interno fratture e divisioni di tale portata di cui al momento si fatica a scorgere la composizione. Queste sono più gravi ed evidenti proprio in Italia dove, dopo la scomparsa di Papa Giovanni Paolo II sembra non esistere di fatto più alcuna forte autorità morale in grado di parlare con forza e autorevolezza non solo alla massa dei fedeli italiani ma a tutti i cittadini. La Chiesa stenta a trovare il linguaggio giusto e le parole in grado di toccare in profondità il cuore del paese ed indicarne un destino. Siamo distanti anni luce dal tempo in cui Papa Wojtyla avviava prima delle elezioni del 1994, esattamente, il 15 marzo, una “preghiera per l’Italia”, raccomandandone la recitazione per tutto l’anno. Il contenuto della preghiera è un’invocazione a Dio affinché accompagni i passi della “nostra nazione” e conservi l’”eredità di santità e civiltà del nostro popolo”. In altre occasioni Giovanni Paolo II avrebbe chiamato l’Italia “diletta Nazione”.

La Chiesa italiana degli anni’90, rivolgendosi a tutta la nazione sbarra, anche con la preghiera, la strada alla Lega che per tutta risposta si inventa il dio Po e riscopre i riti celtici ovvero elabora un’alternativa religione civile, civile in senso tecnico, non valoriale. Oggi la Lega è sempre meno celtica e sempre più cattolica e apostolica. E’ diventato un interlocutore di tutto rispetto per le gerarchie vaticane. Non è per caso che il 3 settembre immediatamente dopo le vicende legate al caso Boffo, Bossi e Calderoli vengano ricevuti da Bagnasco, oppure che immediatamente dopo le elezioni regionali i neo governatori Zaia e Cota come prima dichiarazione annuncino il bando della RU486 dalle loro regioni, benedetti a stretto giro da Mons. Rino Fisichella cappellano della Camera dei Deputati. La Lega può diventare sempre di più il vero braccio secolare della Chiesa in un rapporto organico per molti versi sconosciuto alla stessa Democrazia Cristiana. Può rappresentare davvero qualcosa di simile alla funzione storica svolta dalla Lega Lombarda nel XII e XIII secolo.

Dopo la fine della DC infatti e per tutta la seconda Repubblica, c’è il modello Sodano-Ruini quello dell’interlocuzione diretta con la politica. Non esiste più un braccio secolare, un laicato cattolico chiamato a mediare con la politica i valori cristiani. CEI e Vaticano trattano in prima persona con la politica mentre Wojtyla pensa al “consenso” popolare. Questa divisione dei ruoli e delle funzioni è completamente saltata. C’è un conflitto in atto ormai da anni tra CEI e Santa Sede, una sorta di guerra civile delle gerarchie, che fa impallidire qualsiasi scontro interno ai partiti politici. È questo l’elemento più importante dell’attuale ed inedita crisi della Chiesa di cui l’aspetto pedofilia è solo un pretesto. La Chiesa priva di una figura carismatica ma anche indebolita nella sua classe dirigente ormai sempre più zeppa di preti manager e sempre più spoglia di pastori e profeti non riesce ad elaborare e svolgere compiutamente un disegno.

Il “progetto culturale” lanciato da Ruini con grande enfasi nel 1995 è oggi solo un’etichetta che viene applicata a qualche seminario. Doveva essere un fatto di massa, di popolo, è diventato un fatto di nicchia. Sgominata la presunta minaccia dei laici cattolici, e tra questi innanzitutto dei cattolici dell’Ulivo, la Chiesa italiana si ritrova senza minacce ma anche priva di parole, priva di un progetto serio e credibile di lettura e di evangelizzazione della società. Le sottoscrizioni dell’8 per mille calano sensibilmente di anno in anno come il consenso delle gerarchie nella società. Quindi bisogna rendersi autonomi. È la svolta finanziaria. Allo IOR va un banchiere di alto profilo Ettore Gotti Tedeschi che fa entrare l’istituto nel capitale della Carige con la prospettiva di ricreare una banca di territorio per il nord ovest. I soldi si fanno con la finanza ormai, non più con l’8 per mille. Finisce il modello seconda Repubblica di Sodano e Ruini e s’instaura il modello Bertone. In questo contesto non deve sorprendere se l’unico vero interlocutore appare l’unica forza politica che un progetto di lungo periodo sembra possederlo e perseguirlo, per il territorio come per le banche: la Lega, appunto.

Si può obiettare che le recenti pronunce dei Vescovi sull’immigrazione e sul federalismo rappresentino un’evidente smentita dell’avvicinamento tra Chiesa e la Lega. Il saluto del Cardinale Bagnasco in occasione dell’inizio delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, e lo stesso documento preparatorio della 46° settimana sociale portano a far pensare ad un ritorno ad una dimensione nazionale della Chiesa. Ma questi elementi lungi dallo smentire palesano un problema: la dicotomia tra la strategia della Santa Sede e quella dei Vescovi e della Cei. Il ruolo, la funzione, la missione verrebbe da dire di quest’ultima è legata per così dire “istituzionalmente” alla presenza dello Stato Nazionale unitario. Mentre la Santa Sede può legittimamente non avere a cuore né l’unità d’Italia né l’Unione dell’Europa per come si sono venute determinando. La diversità di strategie è quindi significativa. La Cei cerca di parlare al popolo, come faceva Wojtyla ma tra mille contraddizioni e senza veramente saper più che dire avendo speso tutte le energie e le parole negli ultimi 15-20 anni solo sui temi eticamente sensibili. La Santa Sede al contrario non vuole più farsi scavalcare dalla Cei nella gestione delle risorse e nell’interlocuzione con la politica e vuole essa stessa diventarne un interlocutore scegliendosi il soggetto con cui collaborare: il cosiddetto “braccio secolare”. Di qui la Lega come unico e vero interlocutore, secondo uno schema di politica premoderna e medievale che rimanda all’Italia dei Comuni. Un’Italia divisa, un’Italia espressione geografica dove alla Santa Sede è restituito un ruolo se non proprio di “investitura” comunque di effettiva ed efficace di legittimazione della politica.

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