La migrazione umana nel terzo millennio cristiano
Tema sempre presente nel dibattito religioso, quello delle migrazioni umane si è imposto pesantemente all’attenzione dei contemporanei entrando di prepotenza nel dibattito politico.
Storicamente non è difficile dimostrare che l’Homo sapiens sapiens è migrato dall’Africa meridionale nel resto del pianeta.
Ancora più articolate appaiono le migrazioni umane se si considera lo studio del DNA (fonte). Gli aplogruppi (cioè l’insieme di piccoli frammenti di codice genetico riconducibili al codice genetico di un progenitore comune) rivelano che l’evoluzione dell’Homo sapiens sapiens è avvenuta attraverso lo spostamento di gruppi umani in aree diverse da quelle di origine.
Possiamo ipotizzare che tali spostamenti venissero avvertiti come una minaccia da parte delle popolazioni residenti. Le intenzioni alla base delle migrazioni potevano essere non pacifiche, legate più ad interessi di conquista o di sopravvivenza che a scambi culturali o a spirito di avventura. Il timore verso lo straniero e il forestiero poteva avere il sopravvento, se si fosse dato più peso all’emotività che alla ragionevolezza.
Emblematica in questo senso è la trasformazione in positivo dell’esperienza dell’ospitalità presso gli antichi. I greci ne sono un esempio topico. Per i greci la ξενία (pron.: xenía), l’ospitalità rivestiva un valore sacro, al punto che il capo degli dei, Zeus, aveva tra gli altri il titolo di Xenios: protettore di forestieri e viandanti, forestiero – in un certo senso – pure lui, ospite e ospitale allo stesso tempo. L’ospitalità diventava così un fenomeno religioso che però tutelava la stessa comunità umana dal rischio di autodistruzione. In un episodio narrato da Omero nell’Iliade, Glauco (dalla parte dei troiani) e di Diomede (dalla parte degli achei) pur combattendo tra di loro depongono le armi perché scoprono che i loro nonni erano stati legati da vincoli di ospitalità.
Allegrossi di Glauco alle parole
Il marzïal Tidíde, e l’asta in terra
Conficcando, all’eroe dolce rispose:
Un antico paterno ospite mio,
Glauco, in te riconosco. Enéo, già tempo,
Ne’ suoi palagi accolse il valoroso
Bellerofonte, e lui ben venti interi
Giorni ritenne, e di bei doni entrambi
Si presentaro. Una purpurea cinta
Enéo donò, Bellerofonte un nappo
Di doppio seno e d’ôr, che in serbo io posi
Nel mio partir: ma di Tidéo non posso
Farmi ricordo, chè bambino io m’era
Quando ei lasciommi per seguire a Tebe
Gli Achei che rotti vi periro. Io dunque
Sarotti in Argo ed ospite ed amico,
Tu in Licia a me, se nella Licia avvegna
Ch’io mai porti i miei passi. Or nella pugna
Evitiamci l’un l’altro. Assai mi resta
Di Teucri e d’alleati, a cui dar morte,
Quanti a’ miei teli n’offriranno i numi,
Od il mio piè ne giungerà. Tu pure
Troverai fra gli Achivi in chi far prova
Di tua prodezza. Di nostr’armi il cambio
Mostri intanto a costor, che l’uno e l’altro
Siam ospiti paterni. Così detto,
Dal cocchio entrambi dismontâr d’un salto,
Strinser le destre, e si dier mutua fede.
Analoga attenzione allo straniero e al forestiero viene raccomandata agli ebrei dal Dio dei padri. Tra i popoli nomadi, tra i popoli del deserto l’incontro con lo straniero e con il forestiero si poteva considerare una grande opportunità di conoscenza. Lo straniero portava con sé informazioni sul suo viaggio e sulle terre che aveva attraversato, portava una visione nuova sulla vita e sulla sapienza da condividere, era depositario dell’esperienza e della saggezza che solo l’aver superato i pericoli dell’ignoto poteva dare. Il codice di santità del popolo di Israele impone accoglienza e amore per il forestiero, in ricordo della vita da stranieri in Egitto.
Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto.
Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come tu stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.
(Levitico 19,33-34)
L’impegno all’ospitalità nell’antico Israele era tanto stringente che la sua violazione provocava la reazione distruttiva del Dio dei padri. Alle radici dell’episodio di Sodoma e Gomorra non pare vi fosse stato il tentativo di violenza sessuale, né quella che solo posteriormente venne definita “sodomia“, ma il mancato rispetto della legge non ancora scritta dell’ospitalità (per una breve presentazione della questione scritturistica si legga qui).
È pur vero che nel corso dei due primi millenni cristiani molte migrazioni sono avvenute come risposta a spinte espansionistiche, con motivazioni di conquista e di schiavizzazione delle persone umane: si pensi al medioevo europeo, con la comparsa delle popolazioni cosiddette “barbare“, o alle catastrofiche guerre dell’epoca moderna e contemporanea. Nei primi due millenni cristiani si assiste pertanto ad una definitiva rottura di quel patto tipicamente umano di salvaguardia del migrante, del forestiero, dello straniero.
Non pare tuttavia che in questa rottura abbiano avuto un ruolo determinante istanze presuntamente religiose. Alcune eccezioni, da considerare mere strumentalizzazioni della religione (si pensi ai conquistadores), non hanno modificato l’interpretazione delle migrazioni in campo religioso. Si può quindi concludere che la rottura del patto sul valore sacrale dell’ospitalità non è avvenuta per ragioni religiose ma per motivi essenzialmente egoistici: conquista, brama di potere e di denaro, violazione dei diritti umani.
Alla fine del secondo millennio cristiano e agli inizi del terzo il fenomeno delle migrazioni umane si è apparentemente intensificato, dando luogo frequentemente a reazioni molto contrariate da parte degli stanziali.
Le ragioni delle migrazioni contemporanee (legali o illegali che fossero) sono apparse le più varie:
- ragioni umanitarie (fuga dalle guerre, dalle persecuzioni, dalle deportazioni)
- ragioni economiche (fuga dalla povertà, ricerca di condizioni migliori)
- ragioni lavorative (ricerca di maggiori opportunità lavorative)
- ragioni di studio (scambi culturali, frequenza di università, fuga di cervelli)
- ragioni turistiche (viaggi di piacere e di riposo, pellegrinaggi religiosi)
- ragioni politiche (costituzione di nuove aree abitate, riserve etniche)
- ragioni climatiche (cambiamenti climatici)
Alcune di queste ragioni sono apparse anche convenienti e desiderabili dagli stanziali (si pensi ai lavoratori stagionali, agli studenti, ai turisti…). In linea di massima il fenomeno contemporaneo delle migrazioni presenta due elementi caratteristici che lo differenziano molto bene rispetto al passato.
- Le migrazioni contemporanee si caratterizzano per il numero elevato dei soggetti coinvolti. Gli spostamenti sono spesso effettuati in massa e con un andamento costante. Le popolazioni residenti nelle aree interessate alle migrazioni sono numericamente consistenti, soprattutto se le ragioni che muovono alla migrazione riguardano motivi economici e lavorativi che rendono maggiormente interessanti le aree più ricche di opportunità. Contemporaneamente però le risorse a disposizione non crescono nella stessa misura delle persone che vi attingono, e la riduzione – vera o presunta – di opportunità diventa fonte di conflitto.
- Le migrazioni contemporanee si caratterizzano per l’ambiente fortemente “mobile e comunicativo” in cui avvengono. Sono aumentate in modo straordinario le opportunità di movimento e di scambio: dalle merci al lavoro, dal denaro alla cultura, il flusso degli scambi umani ha conosciuto un inarrestabile incremento tale da rendere impossibile una netta configurazione di confini, siano geografici, politici o di altra natura. Si parla di “globalizzazione” come di quel fenomeno che è riuscito ad azzerare le distanze tra le persone su scala planetaria. Proprio tale tendenza, che facilita l’incontro tra culture diverse, ha però determinato una tendenza al mescolamento, alla contaminazione delle culture mettendo in allarme le sicurezze storiche e identitarie di quelle popolazioni che avvertono la globalizzazione come un rischio di diluizione e scomparsa.
Mentre quindi nei primi due millenni cristiani il patto della sacralità dell’ospitalità si rompe per motivi squisitamente egoistici, all’inizio del terzo millennio cristiano si assiste alla naturale evoluzione di quella rottura, il rifiuto dell’ospitalità, del migrante, del forestiero, del nomade, per una serie di complessi motivi che sintetizziamo in tre gruppi:
- Vera o presunta insufficienza delle risorse (economiche, lavorative, spaziali…) necessarie alla convivenza di due o più gruppi umani
- Timore della possibile scomparsa (etnica e culturale) di uno dei gruppi coinvolti
- Rifiuto dell’incontro (relazione immediata) con lo straniero e con il migrante, incontro considerato – a torto o a ragione – inutile e superato grazie agli strumenti della globalizzazione (relazione mediata)
Rotto il patto della sacralità dell’ospitalità su basi egoistiche e giunti al rifiuto dell’ospitalità stessa su basi più o meno razionali, ci si deve chiedere se la soluzione apparentemente conseguente sia quella più giusta e logica: riaffermazione delle identità locali, chiusura verso la mobilità umana, controllo delle frontiere, regolamentazione degli accessi.
Da un punto di vista legale nessuno può negare la legittimità delle scelte di uno Stato di interrompere o di disciplinare il flusso dei contatti con il resto del mondo. Tuttavia appare chiaro che un atteggiamento di totale chiusura (muro) non produrrebbe risultati che nel breve, brevissimo periodo. Soprattutto laddove uno Stato non riesca ad assicurare alla propria popolazione nel medio e nel lungo termine una stabilità demografica e una produzione di risorse ottimale sarà inevitabile ammettere che all’interno dei propri confini avvenga un flusso migratorio auspicabilmente ordinato.
Sul piano morale le proposte della Chiesa cattolica, nella persona di Papa Francesco, appaiono molto sensate. Nel Messaggio in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018 (GMMR) il Papa ribadisce quanto aveva già in qualche modo accennato nel Messaggio per la celebrazione della LI Giornata Mondiale della Pace 2018 (GMP).
Francesco propone “una strategia che combini quattro azioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare” (GMP 4).
Accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione…
Proteggere si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio…
Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore…
Integrare si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati
(GMMR)
Per quanto sensate e degne di considerazione, tali proposte devono essere confrontate con le motivazioni alla base dell’attuale rifiuto dello straniero, del migrante, del nomade. Appare non priva di senso quindi la considerazione intorno alla necessità di rimuovere le cause dell’ostilità delle popolazioni stanziali e autoctone nei confronti degli stranieri e dei migranti. Si può facilmente dimostrare, infatti, che in molti casi l’avversione si fonda non tanto su pregiudizi intorno alle persone che migrano quanto su pregiudizi intorno alle condizioni di possibilità della convivenza stessa, per cui sembra quantomeno logico che i governi interessati siano in grado di dimostrarsi aperti all’accoglienza non meno che attenti alle necessità dei propri cittadini.
Il successo storico delle popolazioni interessate a flussi migratori, sia quelle ospitanti che quelle ospitate, sarà dunque funzione della capacità dei governi di governare e comporre i conflitti insiti nell’incontro tra culture e ambienti diversi, garantendo il rispetto dei diritti di ciascun gruppo umano e un equilibrato accesso alle risorse. Al tempo stesso un contributo non indifferente alla soluzione della questione delle migrazioni umane nel terzo millennio cristiano potrà giungere dal ruolo di moral suasion esercitato dalle organizzazioni religiose con il superamento degli egoismi e delle paure che accompagnano l’incontro tra civiltà diverse.