La teologia emozionale di Papa Francesco

Conoscevamo l’importanza rivestita dalle emozioni nella pubblicità, nei programmi televisivi, nella politica, direi in ogni ambito sociale e culturale di un mondo occidentale affogato dalla tecno-crazia, asfissiato dalla buro-crazia e forse anche mal-educato dalla teo-crazia, che lasciano poco spazio a libertà creativa e senso di leggerezza.

Papa Francesco, già come Papa Giovanni Paolo II, dimostra quanto sia importante il ruolo delle emozioni anche nella teologia, che d’ora innanzi potrebbe aprire una nuova branca: quella della teologia emozionale. Delle emozioni positive, beninteso, perché Papa Benedetto XVI era riuscito – involontariamente – a dimostrare la pregiudiziale infausta delle emozioni “negative” durante il suo pontificato.  La teologia emozionale: ovvero la comprensione del vangelo “sentendolo” emotivamente (per inciso: già qualcuno ha cominciato a parlare di “teologia della tenerezza”, dopo il prevedibile successo dello slogan di Papa Francesco; cfr sul numero 2 di Azimuth del gennaio 2013 Mons. Carlo Rocchetta e la sua “Casa della Tenerezza“, esperienza decennale al servizio delle coppie e delle famiglie con la “scuola di tenerezza”),

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Due tweet del Pontifex non proprio razionalmente chiari, ma emozionalmente efficaci, sono capaci di suscitare in un brevissimo arco di tempo il “piacere” dimostrabile dai click degli utenti della rete.

Un bambino abbracciato o un infermo baciato sono una emozionante catechesi visiva; un paio di tweet felicemente postati attraggono le indispensabili simpatie della rete. Un libro stampato potrebbe contenere verità eterne e un pensatore acuto prevedere addirittura il futuro: ma un Papa figo li batte entrambi. E diventa santo a furor di popolo.

Sempre meglio pregare il buon Dio di farci essere simpatiche canaglie che noiosi intellettuali.