La Trinità sofferente
Articolo scritto per il Bollettino della Postulazione delle Figlie della Chiesa
Da quasi quattro anni svolgo il mio servizio ministeriale presso la Residenza psichiatrica nella quale sto scrivendo queste righe.
Il giorno in cui venni qui la prima volta per essere presentato al Direttore Sanitario mi accompagnava il Direttore della Pastorale Sanitaria della Diocesi di Roma. Siamo entrati e ci siamo rivolti alla centralinista in portineria per farci annunciare. Mi giro e davanti a me era fermo un ragazzo. Era sulla trentina, con il pizzetto, mi guardava serio dritto negli occhi.
“Chi sei?”, mi domanda diretto con voce ferma e decisa. Gli sorrido affabile e rispondo: “Sono don Ugo, il nuovo cappellano di questa struttura!”. Faccio una pausa e aggiungo: “E tu chi sei?”.
Il ragazzo esita un pochino, poi allarga le braccia come in croce e dice: “Io sono un ebreo, vengo da Israele e mio Padre è lassù!” sollevando lentamente lo sguardo verso il soffitto. Avevo appena incontrato Gesù! Il primo ospite che ho conosciuto mi si è presentato come Gesù! Di quel ragazzo – che credeva di essere il Figlio di Dio – ricordo solo questo. Lui sicuramente delirava, ma a me in quel delirio era arrivato un messaggio molto preciso a ricordarmi le parole del vangelo: “Ero malato e mi avete visitato… ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Non è passato molto tempo che arrivò in struttura Francesco. Un giovane che a vederlo era il ritratto della salute. Appena seppe che ero io il prete volle parlarmi. Si informò su come funzionava la cappella, sugli orari delle funzioni, sulla mia attività. Alla fine mi disse: “Se hai bisogno di me non ti fare problemi, chiedimi quello che vuoi! Io sono Zeus o, come voi mi chiamate, sono Dio Padre!”. Nella mente di quel ragazzo si era annidata la convinzione di essere dotato di poteri divini, anzi di essere Dio stesso, e che il suo compito fosse quello di eliminare il male e di far trionfare il bene. Ma quanto gli appariva difficile!
Mancava solo lo Spirito Santo, ormai. E puntualmente è arrivato pure lui in struttura. Fu Nicola a presentarsi così. Un non più giovane signore, sdentato e disordinato, che girava con le sue buste piene di libri e di carabattole. Quando comprese che ero io il cappellano volle raccontarmi la sua vita. Travagliata come poche, con tanti sogni infranti. Ma con una certezza che lui a volte urlava a tutti anche mentre passeggiava nel corridoio: “Io sono lo Spirito Santo!”. E giustamente non poteva mancare di adempiere al suo ruolo: “Tu don Ugo – mi prometteva – sarai comandante della flotta spaziale imperiale!”. “Eh, caro Nicola – rispondevo – io però faccio il prete, mica posso comandare un esercito, non me lo danno il permesso!”. Nicola restava disorientato solo un minuto, per poi riprendere: “Allora tu sarai Papa! E anche santo!”. Ora, chi se la sente di contraddire lo Spirito Santo?
Capite perché sto così bene tra questi miei fratelli e queste mie sorelle? La Trinità è qui, sofferente e amabile, nel delirio, nel silenzio, nelle urla, nei gesti stereotipati, nella bava che scende dalla bocca e negli occhi che ti guardano spenti, nei pensieri confusi e nella rabbia, nelle paure e nelle ansie. E nelle persone che si prendono cura di questa umanità tremebonda e marginalizzata.
Quando direte il prossimo Gloria al Padre… ricordatevi anche di noi, qui.