Le possibilità di fallimento dell’evangelizzazione
Articolo apparso su Vivere in Sintonia, Aprile-Maggio-Giugno 1995, Anno IX – n. 2
Una mentalità abbastanza diffusa ai nostri giorni ritiene di poter rassicurare gli uomini intorno ad una questione estremamente importante: il progresso umano (culturale, scientifico, perché no?, anche morale) ha un andamento di crescita all’infinito. Come dire: che gli uomini lo vogliano o meno il progresso non si può arrestare. Si tratta di una dichiarazione di fede incondizionata nelle risorse umane, che prende spunto dal dato di fatto, incontestabile, che l’uomo dimostra doti sorprendenti di adattamento, di intelligenza, di ripresa dopo ogni difficoltà.
Quale progresso?
Nonostante il suo fascino, io non me la sento di sottoscrivere in pieno questa ventata di ottimismo; mi sembra esagerata per diversi motivi.
Primo: occorre intendersi su ciò che vuol dire “progresso”. Se noi ci rappresentassimo il progresso come una linea, per sapere se siamo avanzati, e di quanto, dovremmo trovare un punto di osservazione fuori della linea. Altrimenti rimaniamo fermi al nostro orizzonte, con la conseguenza che potremmo anche pensare di aver fatto un passo avanti quando invece siamo tornati indietro. Voglio spiegarmi: che la scoperta dell’atomica abbia costituito un vero progresso per l’umanità lo sapremo solo se l’umanità non verrà distrutta dall’atomica stessa, e se qualcuno sarà in grado di guidarci in mezzo ai pericoli di questa invenzione.
Secondo: per la stessa ragione (siamo rinchiusi in un orizzonte limitato nel tempo e nello spazio) non possiamo affermare con certezza che il progresso sia una crescita all’infinito. Nessun uomo può parlare propriamente di processi infiniti senza correre il rischio di assumere atteggiamenti profetici fuori luoghi.
Terzo: oltre alle sue incontestabili risorse, l’uomo ha anche saputo dimostrare, e spesso contemporaneamente, incredibili contraddizioni etiche. Sono per esempio guerre, faide, spoliazione di intere nazioni, affamamenti, droga… solo alcune delle realtà che oggigiorno costituiscono lo scenario del “progresso” vantato dai nostri contemporanei.
Cosa c’entra tutto questo con la missione?
Semplice. Queste riflessioni mi sono venute in mente quando il Papa, che dovrebbe essere un tipo abbastanza fiducioso nelle capacità di cui il Signore ha dotato le sue creature, parlando della missione si è espresso in questo modo: l’eloquenza della storia «ammonisce sulle possibilità di fallimento inerenti all’agire umano, (e fin qui tutti d’accordo: poi aggiunge l’espressione sorpresa:) Da ciò non è preservata nemmeno l’opera dell’evangelizzazione» (Udienza generale del 26.4.1995, O.R. 27.4.1995, p. 4) [fonte]. A dire ilvero nella stessa catechesi il Papa non ha mancato di confermare la sua fede nella grazia di Dio, non tanto perché la consideri una specie di “ultimo rifugio”, quanto perché è consapevole che «il Padre ha previsto una successione di tempi e di momenti per il compimento del suo disegno salvifico… Pur essendo l’Onnipotente, egli ha deciso di operare nella storia con pazienza, secondo i ritmi dello sviluppo umano – personale e collettivo – tenendo conto delle possibilità, delle resistenze, delle disponibilità e della libertà dell’uomo».
Non vi nascondo il fascino e il conforto che esercitano su di me queste parole. L’immagine di un Padre che pazientemente cuce le pezze della storia nonostante i figli le tirino a destra e a manca fino a rovinarle, be’, mi sembra una grande lezione di umanità, prima ancora che di teologia. Insegna certamente ai padri di questa tessa a non affrettarsi troppo a giudicare irreparabili situazioni che a prima vista sembrano tali: e anche ai figli, a non disperare nel caso la loro imprudenza li abbia condotti ai limiti della tollerabilità.
Parola di Gesù
Ma anche ai missionari credo qualcosa insegnino queste parole. A non aver troppa fiducia nelle proprie forze e nelle pur enormi capacità dell’uomo: fidati di Dio più che di te stesso. A non perdere mai la speranza che, malgrado i suoi fallimenti, la storia degli uomini è veramente guidata “con dolcezza alla Verità”. Soprattutto a scoprire nella propria opera umana quei semi di divino consegnati alla chiesa perché sfidino i secoli e le culture che si avvicendano. L’opera dell’evangelizzazione, infatti, non rappresenta l’azione di un singolo cristiano virtuoso, ma di un popolo pellegrino nello spazio e nel tempo, appunto la chiesa. Ciò che la chiesa di oggi non è capace di fare e di dire, lo sarà certamente la chiesa di domani, e anche se noi (come è accaduto per tanti martiri) non riusciremo a vedere sempre le vittorie della fede, nondimeno tramite la predicazione il Regno di Dio continuerà a svilupparsi e a diffondersi nel tempo. Parola di Gesù.