L’effetto spirituale del Papa
Il giudizio è anche difficile per un’altra ragione, legata in modo specifico al valore spirituale dell’azione di un papa. In effetti è assolutamente imponderabile quello che potremmo chiamare “l’effetto spirituale” che Giovanni Paolo II ha lasciato nel cuore dei credenti, e anche dei non credenti. Questo effetto è da considerarsi senz’altro positivo, se si osservano le attestazioni di stima e di venerazione che vengono tributate alla persona del papa da ogni parte del mondo, e soprattutto da personalità politiche di orientamento ideologico decisamente distante da quello cattolico. Il papa ha segnato profondamente un’epoca. E proprio per la sua “stabilità” è stato considerato una sorta di “punto di riferimento”, nel bene e nel male, tra i mutamenti generazionali. Basti pensare a quanti governi si sono succeduti in Italia e nel Mondo, alle trasformazioni che si sono verificate in molti Stati, ai cambiamenti geografici di questi ultimi 30 anni. Ma, soprattutto, ai mutamenti sociali, filosofici, al tramonto delle grandi ideologie: il papa sempre lì, non “un” papa, ma lui, Giovanni Paolo II, “il” papa. Per quanti si sentivano in sintonia con le sue idee, una grande “luce”, un “faro” (si sente spesso ripetere queste parole da parte di alcuni fedeli per definire il proprio rapporto con il papa); per quanti aspiravano al riscatto o alla visibilità della fede cattolica, Giovanni Paolo II ha impresso un’accelerazione impensata diventando il personaggio religioso più conosciuto al mondo; per chi si sentiva di criticare le scelte religiose “tradizionaliste” Giovanni Paolo II ha offerto l’opportunità di rinvigorire le proprie convinzioni; per chi invece non simpatizzava con le scelte avanzate, “progressiste” della chiesa post conciliare Giovanni Paolo II ha rappresentato un grande ostacolo; per chi riteneva che la chiesa cattolica rappresentasse un pericolo Giovanni Paolo II ha ricoperto il ruolo di capro espiatorio. Di certo queste osservazioni valgono per tutti, papi o no, credenti o meno. Nessuno è in grado di soddisfare le attese della totalità degli uomini, catturare le simpatie di ogni essere umano appare impresa al di sopra delle possibilità umane. Per quanti sono in grado di suscitare tante emozioni come lo è stato Giovanni Paolo II, diventa ancora più facile essere tanto amati, fino all’isteria, o essere tanto odiati, fino al tentato omicidio.
Ma queste rivelazioni fenomeniche non devono trarre in inganno. Gli effetti spirituali dell’opera di un papa si spingono ben oltre le semplici reazioni emotive. Se consideriamo positivo per la crescita spirituale di una persona la stabilità dei propri punti di riferimento emozionali, ebbene Giovanni Paolo II è stato, più o meno involontariamente, un grande fattore catalizzante la crescita spirituale di un’intera generazione. Ma se poi aggiungiamo a tale riflessione del tutto generica le specifiche dell’opera pastorale di Giovanni Paolo II, dobbiamo riconoscere che egli, pur nella sua qualità di “strumento” dello Spirito Santo e di Cristo, ha dato un contributo trasparente e decisivo alla conversione e all’affermazione della fede di milioni di persone. Sono molti quelli che identificano la figura del papa come la figura di un uomo che ha predicato e lottato per la pace e la solidarietà. Che ha ridato speranza a uomini senza speranza, soprattutto quelli che avevano bisogno di trovare in un amplificatore universale la visibilità che governi dispotici o indifferenze egoistiche avevano negato ai popoli. Che ha contribuito a rafforzare nella chiesa tutti quei movimenti religiosi, a volte discussi e discutibili, sorti a cavallo del Concilio vaticano II e che egli ha sempre considerato frutto dello Spirito Santo. Che ha dato un messaggio di amore rinfrancando un cristianesimo stanco.
Il giudizio non è facile anche per la simpatia personale che ha circondato la figura di Giovanni Paolo II. Tanto chiuso ed introverso egli compare nei ricordi di chi l’ha conosciuto prima della sua elezione, quanto aperto ed empatico egli ha dimostrato di essere nei lunghi anni di contatto con potenti governati e masse indistinte di persone. Proprio questa sua caratteristica simpatia personale gli ha facilitato l’ingresso silenzioso ma deciso nel cuore dei suoi fedeli. Non dimentichiamo che persino la sua difficoltà nel parlare la lingua italiana, nonostante egli potesse comprenderla ed esprimersi con essa avendo vissuto e studiato per diversi anni a Roma, è diventata un motivo di simpatia: da quella richiesta di correzione che egli presentò alla folla subito, al momento della sua elezione, fino agli ultimi tempi, quando la malattia e la vecchiaia lo hanno costretto ad una graduale perdita prima dell’espressività e poi della favella stessa.
Del resto se consideriamo che solo il tempo può aiutare l’uomo a confezionare un giudizio appropriato e sereno, non ci si può nascondere che il giudizio dei contemporanei possiede la forza e la freschezza di della conoscenza immediata. Con tutti i suoi limiti. Giovanni Paolo II nel giudizio dei contemporanei riceve un pressochè unanime consenso. Da certe parti addirittura entusiastico. Per certi aspetti non privo di ambiguità. Non è razionale definire un personaggio come il papa “eroe del nostro tempo” e attribuirgli corrette intenzioni pacifiche, e poi non seguirne i consigli: è il caso di G. W. Bush, presidente degli Stati Uniti d’America. Una tale ambiguità rivela che il giudizio sulla figura di Giovanni Paolo II presenta delle crepe, almeno da parte di chi giudica. Questo genere di ambiguità non mette in discussione la bontà delle virtù del papa. Ma esistono dettagli della vita e dell’opera del pontefice che contribuiscono a spiazzare e disorientare il giudizio dei contemporanei, i quali si trovano perciò stesso costretti a rinviarlo ai posteri. Come giudicare, dove collocare, per esempio, all’interno di un esercizio del primato di Pietro (cioè del suo essere papa) tanto accentratore e monarchico la sua apertura ad un esercizio diverso, anche collegiale, per andare incontro ai fratelli separati d’oriente? Come giudicare il tanto annunciato desiderio di rinnovamento della chiesa di fronte all’elezione di vescovi sempre più “reazionari” e “tradizionalisti” (vedi America
Latina) e all’obbligo del silenzio di teologi considerati non ortodossi? Dove collocare la visione politica di un uomo proveniente dalla terra polacca, con la sua avversione ad ogni tipo di totalitarismo di matrice comunista e atea, quando essa si confronta con sistemi politici che si presentano con una veste meno totalitaria e meno atea solo perchè meno comunisti, ma allo stesso tempo rappresentano una grande sconfitta per la dignità della persona umana?
Mi sembra che sia giusto riconoscere tutte queste difficoltà nel momento in cui come contemporaneo mi accingo ad emettere un giudizio sulla vita e l’operato di Karol Woitjla. Ugualmente, è corretto non astenersi da un tale giudizio: ma ispirandomi alla saggezza dei grandi, devo ammettere che tale giudizio non può considerarsi né definitivo né completo. Rappresenta sempre una sorta di apertura a miglior giudizio l’atteggiamento di chi si preoccupa di esprimere delle considerazioni che vengono sottoposte alla revisione di quanti si sforzano di conoscere la verità. Ed è quello che intendo fare con le riflessioni che pubblico sul Sito, peraltro molte delle quali già meditate, altre scritte praticamente di getto.
(aprile 2005)