L’ilare equivoco ed altre poetiche amenità

Qualche giorno fa ero a scuola, come al solito.  Durante uno degli intervalli mi sono intrattenuto con alcuni alunni in aula. C’era anche la mia collega di inglese. Un alunno scherzava, ricordando una lezione di scienze della terra. Ha preso il gesso e sulla lavagna ha cominciato a tracciare alcune curve e alcuni segni ondulati, cercando di spiegare a noi che lo seguivamo – quasi fosse lui il docente di scienze della terra – in che modo i raggi solari colpiscono la terra, e perché alcuni penetrano l’atmosfera e altri vengono intrappolati dai riflessi tra suolo e atmosfera. Così, sempre in quel clima giocoso, l’ho invitato a rispettare la presenza della sua docente di inglese, suggerendogli di ridire le medesime cose ma tradotte nella lingua straniera. E lui, dopo un primo momento di esitazione, si è gettato nell’avventura. “Perché dal SUN escono dei raggi che arrivano sulla terra…”. “Tutta la frase in inglese non riesci a tradurla?”, ho tentato di spronarlo; “SUN va bene, è il sole, ma il resto?”. “Ok, – risponde l’improvvisato docente di scienze della terra in lingua inglese – ma non so come si dice ‘raggio'”. “E terra come si dice? Questo dovresti saperlo!”, gli suggerisco io, mentre la collega di inglese assiste divertita alla scena. Il neopromosso professore, senza esitazione, biascica qualcosa che non comprendo perfettamente. La pronuncia sembra quella di EARTH, come gli inglesi chiamano il pianeta, ma non ne sono troppo sicuro. “Scrivi un po’ alla lavagna”, gli chiedo. E subito, con un tratto sicuro, il neopromosso professore scrive “DIRT”.


dirt

Io sorrido all’ilare equivoco in cui è caduto il neofita professore, mentre la mia collega prontamente interviene. “Ma no, DIRT non significa terra, significa sporcizia!”. No no, insiste il neoprofessore, significa terra. La campanella della fine ricreazione interrompe la “lezione”. La collega di inglese ha appena il tempo di ribadire che il nome inglese per indicare il pianeta terra è “EARTH”, il neoprofessore ormai retrocesso ad alunno semplice appollaia il gesso sul bordo della lavagna e poco convinto cancella DIRT, gli alunni vociando e ridendo rientrano in aula. Inizia la lezione di religione cattolica.

Ma nella mia testa questo episodio ha continuato a rigirare, come il nastro di un film. Mi colpisce l’equivoco. Del resto il simpatico alunno-professore non aveva tutti i torti. DIRT significa anche terra, in inglese, ma nello stesso senso in cui noi diciamo ad un bimbo: “Non ti buttare per terra, ti sporchi!”. La terra che sottointende DIRT è la terra “sporca”, non il pianeta terra, con tutta la terra (pulita o sporca che sia) che lo compone. E così, giocando con le parole inglesi, si scopre che DIRT arriva a significare anche “diceria” e “calunnia”, perché – giustamente – gli inglesi sono sicuri che non rispettare una certa sobrietà di linguaggio e non trattenersi dall’esprimere giudizi più o meno antipatici intorno ad altre persone non possa essere considerata esattamente una cosa “pulita”.

Che strano, questo equivoco! Mi dispiacerebbe davvero se la nuova generazione avesse la sensazione che la terra fosse una cosa “sporca”. Oddio, non penso sia stato questo il motivo per il quale l’alunno è caduto nell’equivoco. Per lui, penso, si è trattato di banale “misundertanding”. Io non ho potuto fare a meno di rifletterci.

Già, trovo siano non pochi quelli che spinti da una rassegnata conoscenza degli affari terrestri, pesano esperienze e categorizzano persone in termini di “sporcizia”. Se la politica è “sporca” per antonomasia, la finanza è “sporchissima”, “sporchi” sono i commercianti negligenti e “sporche” le pubbliche amministrazioni; “sporche” le forze dell’ordine, “sporche” le carceri, “sporco” l’ambiente, incolpevole inquinato dall’uomo senza pudore; le relazioni internazionali, tanto sono segrete quanto sono “sporche”, e il presunto aumento di furti, omicidi, terrorismi, attentati, feminicidi, devastazioni rappresenta l’inequivocabile segnale dello “sporco” che avanza in modo irresistibile. Lo “sporco” così abbondante non risparmia nemmeno chiese e religioni, di quando in quando emergenti alla ribalta in modo “sporco”.

Non sorprende più, quindi, se alla lunga qualcuno, più d’uno, cede alla tentazione di sostenere che sia impossibile su questa terra sfuggire alla terra, che sia impossibile aprire i cuori e le menti alla speranza di un mondo “pulito”.

Sarò un inguaribile ottimista, ma penso che sulla terra la lotta non sia tra “sporco” e “pulito”, ma tra l’anima della “Colomba” e quella del “Rospo” che il Trilussa ha immortalato in 7 versi:

Incuriosita de sapé che c’era
una Colomba scese in un pantano,
s’inzaccherò le penne e bonasera.
Un Rospo disse: – Commarella mia,
vedo che, pure te, caschi ner fango…
Però nun ce rimango… –
rispose la Colomba. E volò via.

Ma sarà proprio vero che la terra, con tutti i suoi affari, sia tanto sporca come la si dipinge, una specie di pantano? Sì vero, esistono i calunniatori che dimostrano che la miseria più povera è quella dell’animo, esistono le persone che si sforzano di non rivolgere il saluto a qualcuno che trovano antipatico, esistono le ipocrisie di chi vuol far carriera e le ottusità dei dirigenti che non sanno riconoscere e valorizzare le competenze. Esiste lo “sporco”. Che a volte, tutto sommato, in fondo ci fa sorridere e provare un senso di cristiana pena. Ma badate, non è meno “sporco” chi presume di essere cristiano solo perché esibisce un crocifisso, che a volte, appeso a un muro, occupa lo stesso posto che occuperebbe un cornetto portafortuna…

Lo strano è questo Gesù che con tutto il “pulito” che poteva avere in Paradiso s’è voluto sporcare anche lui con gli affari terrestri! A Natale ricordiamo la nascita di Gesù, quasi Colomba che si butta in un pantano… ma non vola via, ci resta! E con sorprendente iperrealismo veste i panni del Rospo, che non lascia solo nel fango, ma aiuta semmai a ripulirsi.

Ecco il mio augurio a tutti voi: un Natale “pulito”! Se ci siamo inzaccherati “ripuliamoci”, ma evitiamo di pensare alla terra e ai suoi affari come ad un luogo sporco.  Vi auguro di vivere questo tempo respirando l’aria chiara e tersa della grazia divina e di riempire il cuore di gratitudine verso Dio per il dono della terra e degli alunni che sanno spiegarla.

Con affetto, Buon Natale!