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Lui si chiama Luigi e ha 67 anni. Lei Isabella e ne ha 70. Sono sposati da 44 anni. Lui ha fatto per tutta la vita il giornalista ed è stato anche vice-presidente della Croce rossa italiana. Lei si è divisa tra i doveri di mamma (hanno sette figli) e un lungo impegno presso un consultorio per le famiglie. Hanno 22 nipoti. Hanno casa a Roma, in un bel quartiere: dalle loro finestre vedono la cupola di San Pietro. Sembra il ritratto di un’ordinaria famiglia borghese. Ma nei cuori di Luigi e Isabella Bencetti c’è qualcosa di speciale, che Luigi riassume con queste parole: «Il Signore rende straordinario l’ordinario». Ciò che rende straordinaria la vita di Luigi e Isabella è la scelta di vivere fino in fondo la loro vocazione cristiana. Una scelta che li ha portati, alle soglie dei settant’anni, a lasciare Roma per vivere la loro missione di diaconi "fidei donum", dono della Chiesa di Roma, in una sterminata baraccopoli nella periferia di Lima, in Perú. Loro minimizzano («non siamo eroi, c’è chi ha fatto scelte più radicali, ci sono realtà peggiori di quella in cui ci troviamo»), ma hanno avuto coraggio. Hanno lasciato a casa i figli, i nipoti, gli agi borghesi. Niente più vista sul Cupolone. Niente più domeniche alla familiare e rassicurante parrocchia dei Santi Protomartiri Romani. Ora, attorno a loro trovano baracche, un clima insalubre, migliaia di bimbi malnutriti, gente povera, famiglie precarie, malavita, in un Perú instabile, minato da malgoverno, crisi economica, corruzione e violenza. Ma Luigi e Isabella sono sereni e contenti. Dicono: «Lì davvero la messe è molta, ma gli operai sono pochi. Se non ci siamo noi, non c’è nessuno». Un italiano all’estero Luigi e Isabella sono convinti che nella vita nulla accade per caso. Il Perú in qualche modo li aspettava. «Io», racconta Luigi, «ho lavorato in Rai per 35 anni, al tg unico, al Notturno italiano e prima di andare in pensione ero vicedirettore di Rai International. Mi sono sempre occupato di italiani all’estero e ora mi ritrovo io a essere italiano all’estero». «Io invece», aggiunge Isabella, «ho lavorato per dieci anni al consultorio familiare della diocesi di Roma e ora a Lima aiuto decine di famiglie in difficoltà». Luigi ha studiato dai Gesuiti. Isabella dai Salesiani. Hanno avuto una formazione cattolica che poi hanno sviluppato anche nella vita di coppia. «Per trent’anni», racconta Luigi, «abbiamo partecipato all’Équipe Notre-Dame, un movimento di spiritualità per le coppie nato in Francia. Poi, all’inizio degli anni Settanta, abbiamo frequentato il movimento dei Neocatecumenali. Alcune cose ci sono piaciute, altre meno. Abbiamo fatto altri percorsi, poi ci siamo avvicinati nuovamente al cammino dei Neocatecumenali». Queste diverse esperienze hanno insegnato a Luigi e Isabella che bisogna evitare l’errore di "corazzarsi" dentro i movimenti. Dice Luigi: «Alla fine, se trovi davvero Gesù Cristo, non puoi che uscire fuori, aprirti al mondo e alla missione». Luigi è stato ordinato diacono nell’aprile del 1985. Per anni ha vissuto con Isabella questa vocazione in parrocchia, nella pastorale familiare, nella catechesi. Poi, con il nuovo millennio, è arrivata la chiamata per un impegno più lontano. Luigi e Isabella sono partiti per il Perú in un giorno che il mondo non dimenticherà mai: l’11 settembre 2001. «Dovevamo fare una tratta del volo con una compagnia aerea americana, ma dopo gli attentati di New York tutti i voli sono stati bloccati. Siamo rimasti per oltre dodici ore sull’aereo fermo a terra e tutto si è complicato. Alla fine siamo arrivati a Lima sei giorni dopo la partenza da Roma». Oggi Luigi e Isabella vivono nella Misione Cono Norte, una missione cattolica nella diocesi di Carapayllo, nella zona nord della caotica capitale peruviana. «Con il parroco basco don Antonio», racconta Luigi, «ci prendiamo cura di 240 mila persone. Tranne la celebrazione della messa e la confessione, faccio tutto quello di cui c’è bisogno: battesimi, funerali, assistenza ai moribondi, liturgia della parola». Aggiunge Isabella: «Siamo un riferimento per tanta gente povera. Tanta parte della giornata la passiamo bussando alle porte, visitando le famiglie». Qualche mese dopo la loro partenza, una delle loro figlie,
Francesca, li ha raggiunti per vedere come stavano. «I nostri figli»,
racconta Luigi, «non si fidavano delle nostre telefonate rassicuranti. Ma
noi siamo davvero contenti. Questa esperienza, che per ora non ha scadenze
(ogni tanto torniamo a Roma, ma non abbiamo in tasca il biglietto del
ritorno definitivo), è un dono del Signore al finale della nostra vita». E
aggiungono che se qualcuno volesse raggiungerli, anche solo per due
settimane o un mese, sarà il benvenuto. Laggiù c’è tanto da fare.
Roberto
Zichittella
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