Mala religione

Vengo chiamato al centralino. C’è una telefonata per me.

“Pronto, sono il cappellano don Ugo”.

Pronto, sono una signora… una collaboratrice del cappellano dell’Ospedale XYZ“; non dice il suo nome, la voce è matura, molto ben impostata.

Sta venendo da voi per essere ricoverata una paziente, F., che è stata qui da noi“; mi sorprendo, non è usuale che vi sia questo scambio di informazioni. Mentre parliamo mi rendo conto dal vetro del centralino che è arrivata un’ambulanza e sta scendendo il personale per accogliere un nuovo ospite.

F. cammina male e non può scendere dal letto. Volevo chiederle di portarle la comunione tutti i giorni in stanza… ne ha bisogno…“, la voce della collaboratrice del cappellano mi giunge proprio nel momento in cui F. passa davanti al vetro del centralino appena scesa dall’ambulanza.

“Ah – rispondo – ma conosco bene F., non è la prima volta che viene qui da noi. In ogni caso non sono abituato a portare la comunione in stanza, se non per casi gravi. I pazienti in Struttura sono liberi di muoversi e di venire a messa quando vogliono”.

Ma F. non cammina – insiste la voce della collaboratrice – ed ha molto bisogno della comunione. Il cappellano qui gliela dava tutti i giorni, è d’accordo che F. deve essere trattata in modo particolare“, nel pronunciare queste parole la collaboratrice sembra soppesarle bene.

Convenevoli, saluti, chiudo la telefonata.

F. soffre di gravi disturbi psicotici, assume farmaci che come effetti collaterali alterano il normale movimento delle gambe (ma può camminare), ha alcune fissazioni religiose. Non tarda a cercarmi e dopo nemmeno mezz’ora dal ricovero mi chiede di parlare.

Vuole acqua benedetta ed esorcismi. È spaventata. Riferisce che il cappellano dell’Ospedale XYZ le ha detto che è posseduta dal demonio. Dice che le ha imposto le mani e ha fatto preghiere di liberazione su di lei.

Oggettivamente se non ci fosse stata la telefonata della collaboratrice del cappellano avrei potuto anche dubitare di quanto F. sosteneva; però quella breve comunicazione è servita da conferma della tortura a cui F. è stata sottoposta: non solo dover affrontare una malattia tanto severa e invalidante, ma essere anche incompresa e marchiata come indemoniata da chi avrebbe dovuto abbracciarla nella sua sofferenza con la tenerezza di un padre e di una madre.

Racconto l’episodio perché non è l’unico e ormai da tempo mi trovo in presenza di casi sempre più frequenti di malcapitate persone finite tra le grinfie di questi preti (e laici) fantasiosi, incapaci di comprendere la scienza e persino la religione e quindi più predisposti a far danni enormi su persone fragili e disperate. Con l’aggravante di sentirsi belli soddisfatti e realizzati come preti (e laici) che hanno fatto il loro dovere per la salvezza delle anime.

Torturatori la cui ignoranza non li scusa.

Non esiste solo la mala sanità. Esiste pure la mala religione. E non denunciarla è farsene complici.