Mi sono sbagliato. Note di aggiornamento sulla democrazia a bolle

Erano gli inizi degli anni 2000. Mi chiamarono alcuni amici giornalisti insieme a colleghi preti per invitarmi a pranzo con  un rampante uomo politico. Voleva verificare con noi una sua idea.

Ci trovammo in un ristorante. Lì conobbi Mario Adinolfi, che aveva fondato il movimento Democrazia Diretta con cui presentarsi candidato alle elezioni da Sindaco di Roma. Una ancora poco conosciuta chiocciola @ ne era il simbolo.

L’idea appariva semplice e geniale. “Un programma rivoluzionario tutto connettività, hi tech economy e car sharing per alleggerire Roma dal traffico“, così lo definiva Mario. Il dibattito politico si sarebbe svolto sui blog, le comunità digitali avrebbero preso il posto delle sezioni di partito, persino il voto si sarebbe potuto esprimere via internet. L’obiettivo era disintermediare la democrazia, facilitare un accesso universale alla formazione delle decisioni politiche.

Devo dire che non mi convinse. Per due ragioni. La prima: Mario e i suoi seguaci erano tutti giovani che si conoscevano nel ristretto gruppetto di un internet ancora non esploso ai livelli odierni; troppa fatica per i non addetti ai lavori entrare nella loro visione. La seconda: pur conoscendo il mezzo (internet) e gli strumenti (computer) o proprio perché li conoscevo mi apparivano piuttosto sproporzionati per il fine che si voleva raggiungere; gli stessi cellulari come noi li intendiamo oggi non avevano ancora preso piede, né era così diffusa la cultura digitale e informatica.

Ci salutammo. Non ci siamo mai più rivisti.

Di lì a poco le idee che Mario ci aveva esposto vengono messe in atto da Gianroberto Casaleggio. Figlio di interprete di lingua russa, Gianroberto cura dal 2005 il blog di Beppe Grillo. Il visionario Casaleggio nel futuro della politica profetizza un supergoverno planetario retto da un sistema di democrazia diretta e privo di partiti politici. Avverrà nel 2054, dopo una sanguinosa guerra mondiale tra le democrazie occidentali e le tirannie asiatiche.

Trascurando i dettagli fantasiosi della comunicazione di Casaleggio, sullo sfondo resta quella esigenza di una nuova interpretazione della democrazia.

Ecco, qui posso ammetterlo: nella mia valutazione del fenomeno adinolfiano e di quello casaleggiano mi sono sbagliato. Mi sono fissato sui mezzi e ho trascurato quello che avveniva e come i mezzi stavano incidendo sulla formazione stessa del futuro della politica.

A proposito della democrazia diretta voglio sommessamente ricordare che fu proprio Aristotele che nella sua Politica ne preconizzava il fallimento. Secondo il Filosofo quando “la massa regge lo stato badando all’interesse comune, tale forma di governo è detta col nome comune a tutte le forme di costituzione politeia“, dove politeia assume il significato di “governo dei molti“. La democrazia diretta, il governo di tutti, è la degenerazione della politeia: infatti come “la tirannide è una monarchia che persegue l’interesse del monarca, l’oligarchia quello dei ricchi” la democrazia diretta insegue l’interesse dei poveri. Questa degenerazione, secondo il Filosofo, presenta un comune problema: “al vantaggio della comunità non bada nessuna di queste” (Politica, III,8). Ho tradotto “democrazia” con “democrazia diretta” perché non dobbiamo dimenticare che ad Atene non esisteva la “democrazia rappresentativa” come la intendiamo noi oggi ma solo quella dell’assemblea dei cittadini. Maschi (non le donne) e liberi (non gli schiavi).

Il Filosofo fonda ogni riferimento alla politica sul vantaggio della comunità. Perdere di vista il vantaggio della comunità, fosse anche in favore dei poveri, a suo modo di vedere significa la degenerazione dell’unica finalità della politica stessa: poiché “ogni stato è una comunità e ogni comunità si costituisce in vista di un bene (perché proprio in grazia di quel che pare bene tutti compiono tutto) è evidente che tutte tendano a un bene” e al bene più importante il quale comprende tutti gli altri beni cioè la stessa “comunità statale” (Politica, I,1).

Fine citazione dotta. Passiamo ai giorni nostri.

Ho cercato di esaminare le ragioni del mio errore. Tra le tante mi pare di averne individuate due esiziali.

Ho sbagliato nel sottovalutare il meccanismo moltiplicativo dell’introduzione di nuovi strumenti nella vita comunitaria. I mezzi, gli strumenti non sono solo espressione di un progresso tecnologico, ma implicano e favoriscono nuovi modelli di pensiero e di azione. Il fenomeno attuale si potrebbe descrivere come la costruzione di comunità nella comunità, che si chiamino bolle o che si chiamino communitygruppi. Quel che conta è che scompaiano sì i partiti politici, ma contemporaneamente nascano miriadi di microcosmi dalla disgregazione polifunzionale degli interessi. Di modo tale che il medesimo soggetto possa far parte del gruppo dei genitori della classe dei figli, del gruppo dei colleghi di lavoro, del gruppo degli amici su internet, del gruppo tifosi di calcio, del gruppo politiche di quartiere portando in ciascuno di essi bisogni diversi e talora in contrasto tra loro. La disintegrazione della comunità monolitica a favore di una comunità policentrica fa perdere di vista inevitabilmente il vantaggio dell’unità.

Ho sbagliato pure nell’ipotizzare che in un sistema dove la moltiplicazione dei mezzi avrebbe dato a tutti la possibilità di intervenire nella comunità, tutti ne avrebbero rispettato le regole sane e tutti si sarebbero spesi a vantaggio della comunità. Abbiamo potuto osservare soprattutto negli ultimi anni in che modo l’assenza di regole sane o la trasformazione delle regole ad opera del più forte o del più potente o addirittura la manipolazione delle regole per la manipolazione del consenso abbia inciso sia sulle decisioni politiche sia sul modo stesso in cui il cittadino e l’elettore si rapportano con il decisore finale. Sembra sia stato eroso dalle fondamenta il patto sociale nel quale la persona umana era considerata sempre il fine e mai il mezzo dell’azione politica. Con la prevalenza di interessi privati o singolari dove a predominare sia la sete di potere e di successo o l’avidità di denaro, le regole sono democraticamente asservite agli interessi del gruppo più forte senza riguardo al vantaggio della comunità.

Ci troviamo, a mio avviso, davanti ad una sfida politica di inusitata complessità nella quale lo stesso modello di democrazia come fino ad oggi conosciuto si trova in crisi, senza che tale crisi sia percepita come negativa se non nella bolla svantaggiata dalla bolla dominante.

Si potrebbe dire che, dopo l’era della politeia, dopo l’era della democrazia diretta, grazie ai potenti mezzi e agli straordinari strumenti della modernità siamo finalmente entrati nell’era della democrazia a bolle.

E io personalmente sono molto curioso di sapere come andrà a finire.