Mons. Luca Lorusso, un servitore fedele della Chiesa licenziato dal servizio diplomatico
Al solo scopo di non mandarne perduta la memoria, riproduco questo articolo comparso su Riscossa Cristiana così come appare in data odierna (31 luglio 2014). Invito a leggere gli articoli correlati. (UQ)
Le strane strade del nuovo corso della misericordia che spira nella nuova Chiesa
di Adriano Vigevani
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Nel corso dell’ultimo anno si è creata una certa tensione tra la nunziatura apostolica in Italia e il Vicariato di Roma. Anche se qualche ben informato pare non cogliere che quando non si può prendere di petto il padrone — tra l’altro di quarantennale esperienza diplomatica, acquisita in undici sedi ed oltre venti paesi, sparsi in quattro continenti [qui, qui] – c’è sempre chi cerca di mollare calci al suo cane [qui]. E il “cane”, nel più squisito senso cristiano di “cane di Dio”, emblema della fedeltà all’uomo, al padrone e alla difesa della casa, è stato il segretario della nunziatura apostolica in Italia, monsignor Luca Lorusso, 52 anni [qui, qui], uomo di provata fede, apprezzato per le sue competenti capacità di lavoro e per il suo animo sacerdotale.
Riassumiamo in breve i fatti: mons. Lorusso si prese cura di un prete in grandi difficoltà, don Patrizio Poggi, accusato in passato di molestie e violenze sessuali in danno di minori, sospeso per questo dall’esercizio del ministero sacerdotale e poi condannato dal tribunale penale di Roma ad una pena di otto anni, ridotti a cinque anni di detenzione interamente scontati in carcere tra il 2002 e il 2008 [qui].
Esaurita la condanna e pagato con anni di carcere il suo debito con la giustizia, nel corso dei quali fece anche un percorso di recupero umano e spirituale, il Poggi chiese di poter essere riammesso all’esercizio del ministero sacerdotale. Al Vicariato di Roma non trovò però un padre pronto ad accogliere il figliol prodigo, trovò il cardinale Agostino Vallini che anziché lasciare le 99 pecore per correre a cercare la pecora smarrita — che in questo caso non andava neppure cercata dato che s’era presentata lei stessa all’ovile — per tutta risposta pare abbia ritenuto opportuno farlo mettere alla porta. Non che si dovesse uccidere all’istante il vitello grasso per fare festa, ma perlomeno il Poggi poteva essere accolto, valutato e messo prudentemente alla prova, perché quanto più grande è il peccato tanto più grande deve essere la misericordia, quella vera, quella che dipende dalla Rivelazione, non quella che dipende dai giustizialismi della piazza furibonda o dagli umori dei mass media.
A quel punto il Poggi si avvalse di mons. Lorusso che in foro ecclesiastico lavorò per il reintegro nel ministero di questo sacerdote sospeso a divinis, assistendolo non solo come avvocato canonista ma soprattutto come sacerdote in cura d’anime.
Purtroppo, mons. Lorusso, è caduto vittima di un terribile gioco messo in piedi dal Poggi: la sua formale accusa rivolta ad un gruppo di sacerdoti e prelati di essere coinvolti in un giro di prostituzione maschile minorile. E qui facciamo notare che Poggi ha preso dei fatti veri, perché più volte sacerdoti e prelati romani sono stati coinvolti in casi simili; e sono casi tutti documentati e agli atti. Fatti dunque realmente accaduti e come tali noti sia alla Santa Sede sia alla magistratura, usati però dal Poggi con animo avvelenato da sete di vendetta per imputarli a degli ecclesiastici del tutto estranei a simili condotte, diffamandoli in tal modo gravemente, soprattutto per la grande eco mediatica che la sua denuncia ebbe subito [qui, qui].
Non corrisponde invece al vero che mons. Lorusso abbia approvato certe accuse, ha solo svolto il suo ruolo di giurista; e quando il Poggi decise di depositare una querela, in sua qualità di avvocato ecclesiastico lo accompagnò presso l’autorità giudiziaria al solo scopo di assisterlo [qui]. Appena il Poggi ebbe sottoscritta la querela l’autorità giudiziaria porse l’atto a mons. Lorusso per chiedere la sua firma. Convinto di firmare solo un testo nel quale dichiarava di avere accompagnato il Poggi e di essere stato presente alla deposizione del suo atto, il segretario di nunziatura firmò invece senza volerlo il documento col quale confermava tutto ciò che il querelante aveva dichiarato.
Se quindi si volesse proprio formulare un’accusa, si potrebbe rimproverare mons. Lorusso di avere agito in buona fede, volendo con una punta di ingenuità, ma privo di qualsiasi malanimo. Questo basterebbe a scagionarlo da accuse infondate e da brame di vendetta inaccettabili, sempre, in particolare nel mondo ecclesiastico.
Quanto sin qui riportato è ben noto alla Santa Sede. Pare però che in occasione dell’incontro del Vescovo di Roma col clero dell’Urbe svoltosi il 6 marzo, alcune “anime pie” abbiano informato il Santo Padre in modo tale da indurlo a esprimersi pubblicamente così: «Sono stato molto colpito e ho condiviso il dolore di alcuni di voi, ma di tutto il presbiterio, per le accuse fatte contro un gruppo di voi; ho parlato con alcuni di voi che sono stati accusati e ho visto il dolore di queste ferite ingiuste, una pazzia, e voglio dire pubblicamente che io sono vicino al presbiterio, perché qui gli accusati non sono sette, otto o quindici, è tutto il presbiterio. Voglio chiedere scusa a voi, non tanto come vescovo vostro, ma come incaricato del servizio diplomatico, come papa, perché uno degli accusatori è del servizio diplomatico. Ma questo non è stato dimenticato, si studia il problema, perché questa persona sia allontanata. Si sta cercando la via, è un atto grave di ingiustizia e vi chiedo scusa per questo» [qui, qui].
Il dado era tratto: il Vescovo di Roma aveva parlato e le sue parole non potevano essere più ritrattate, anche se il Santo Padre, messo in seguito al corrente dal nunzio apostolico in persona su come i fatti si erano realmente svolti ha risposto, durante quel colloquio privato, con buone parole per mons. Lorusso, di cui presto gli è risultata chiara la situazione e la sua figura di degno sacerdote e di servitore fedele della Chiesa.
Lo stesso Poggi, arrestato e poi processato per diffamazione aggravata, condannato e tradotto in carcere [qui, qui, qui], scrisse una lunga lettera al segretario di nunziatura chiedendogli perdono per averlo coinvolto con inganno ed in modo così lesivo alla sua persona in quella vendetta studiata a tavolino, dove il soggetto più colpito, oltre agli ecclesiastici diffamati dalle sue false accuse, è risultato essere proprio mons. Lorusso, brillante diplomatico e ottimo sacerdote che a giorni lascerà Roma e la diplomazia pontificia per rientrare a Taranto, sua diocesi di origine.
Di tutto questo è di certo al corrente anche il vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, che con cuore pastorale stillante misericordia pare abbia soprasseduto sul fatto che gli ecclesiastici romani gravemente diffamati dal Poggi, oltre a lui hanno querelato anche mons. Lorusso — vittima di un terribile raggiro risultato in danno superiore alla stessa diffamazione da loro subita — al quale è stato richiesto in sede civile, tra l’altro, anche un risarcimento danni quantificato in 100.000 euro [qui].
Forse é questo il nuovo corso della misericordia che spira nella nuova Chiesa? Accanirsi su un fedele servitore della Chiesa tratto in inganno e per questo riconosciuto in totale buona fede, richiedendo pur malgrado prima la sua testa, poi risarcimenti danni a botte di euro in sede civile? Il tutto dopo averlo indicato alla pubblica gogna come «diplomatico infedele»? [qui, qui].