Non farti del male, siamo tutti qui
Esercizi Spirituali – Figlie della Chiesa, Domus Aurea, Ponte Galeria (RM)
Omelia del martedì della VI settimana di Pasqua
Secondo Luca, autore degli Atti degli Apostoli e di un Vangelo, la diffusione del vangelo per mezzo degli apostoli non è tanto lineare. Nel nostro modo di pensare la progressione delle cose sembra rappresentabile da una crescita all’infinito. Pensiamo per un istante ai modelli sviluppati per la tecnologia e per l’economia. In elettronica e informatica esiste per esempio una legge, la prima legge di Moore, la quale (semplificando) prevede che la velocità e la potenza dei computer raddoppino ogni 18 mesi. Prima di acquistare un computer oggi, è giusto che sappiamo che a novembre del prossimo anno sarà già vecchio! Le cose non cambiano in ambito economico.
Per decenni una delle convinzioni più incrollabili sia di sistemi liberisti che di sistemi comunisti è stata quella relativa alla crescita economica. L’economia, secondo accreditate opinioni di illustri analisti, si sarebbe comportata in modo tale da produrre ricchezza ed assicurare un benessere diffuso seguendo le “ricette” che di volta in volta vengono somministrate.
L’esperienza, però, ci dice che il mito della progressione all’infinito è destinato a scontrarsi con una dura realtà: la velocità e la potenza dei computer presenta limiti invalicabili e la stessa economia conosce importanti fasi di recessione. Dalla lettura della pericope degli Atti di quest’oggi ricaviamo l’importante suggerimento che tale esperienza è comune anche alla diffusione del vangelo. L’episodio citato nel brano si colloca nel contesto della città di Filippi. Filippi possiede un primato: è la prima città europea ad essere evangelizzata da Paolo, che fino ad allora si era limitato alle regioni dell’Asia minore e del Medio oriente. Da quella evangelizzazione nasce di sicuro una comunità alla quale Paolo indirizza una delle lettere più calde e più belle.
La predicazione, con il successo della formazione della chiesa, è accompagnata anche dalla rivolta della popolazione locale spinta al punto da riuscire a far incarcerare gli apostoli. Senza dimenticare che pure all’interno della comunità sembrano apparire segnali di divisione, se Paolo nella lettera che le indizza esorta Evodia e Sintiche ad andare d’accordo tra di loro (cfr Fil 4,2). Questo episodio ci costringe ad una presa d’atto: nemmeno la chiesa si sviluppa in modo costante, lineare, con una progressione all’infinito e persino la chiesa può conoscere momenti di stagnazione e di regressione.
Penso che da considerazioni del genere dovremmo imparare ad avere un atteggiamento di maggiore umiltà nei confronti della comunità cristiana, degli stessi pastori e di quanti esercitano l’autorità in essa, spesso accusati di essere causa della difficile penetrazione della buona notizia nelle società e nelle culture degli uomini. La chiesa e la sua comunione non è solo frutto di sforzi umani organizzativi o di programmi e progetti pastorali di eccezionale finezza. Non esiste automatismo tra la predicazione del vangelo, per quanto sincera, preparata e spirituale, e la sua accoglienza. Anzi, potremmo dire che il mistero del male è in atto e si rende sempre più presente quanto più cerca di avanzare il mysterium salutis, il mistero della salvezza. La chiesa, la sua comunione, la diffusione del vangelo sono impegnate ad incontrare l’uomo sulle sue strade, sulle strade dell’umanità, spesso tortuose, involute, poco fruttuose, non a costruire mondi da favola sulla terra e nemmeno ad incantarlo con promesse mirabolanti. E in questo incontro a lasciare che sia il Signore Gesù a parlare al cuore degli uomini, a farli innamorare di lui, a farli entrare in dialogo con lui, rispettando tempi e modi che forse non sono i nostri.
Il comportamento degli apostoli ci dice qualcosa anche intorno al loro animo di fronte al fallimento della missione e alla rivolta che li costringe in prigione. Nel buio della cella essi sono in preghiera e “cantano inni”. Chissà se il celebre inno cristologico della lettera ai Filippesi è nato lì. Non sarebbe fuori luogo pensarlo: “Cristo Gesù pur essendo Dio si annientò e si fece uomo”. Gli apostoli potevano mantenere uno stato d’animo tanto sereno perché sapevano che la Chiesa è di Cristo e che essi, come servi inutili, avevano fatto quanto era stato richiesto loro. Di fronte ai nostri fallimenti, di fronte alle comunità che non ci piacciono, di fronte al buio di un futuro incerto e di impegni o compiti che a volte ci sembrano non liberanti ma frustranti e addirittura oppressivi preghiamo e cantiamo inni: “Cristo Gesù umiliò se stesso, per questo Dio lo ha esaltato”.
Nell’episodio viene menzionata la figura della guardia quando, a seguito di un terremoto e di un intervento prodigioso che fa cadee le catene, i prigionieri si trovano nelle condizioni di fuggire. Secondo la disciplina dell’epoca, una guardia che avesse lasciato fuggire i carcerati avrebbe ricevuto la loro stessa pena o sarebbe stata condannata a morte. Nella concitazione del momento il carceriere teme la fuga dei carcerati e disperato è in procinto di togliersi la vita; lo fermano le parole di Paolo: “Non farti del male, siamo tutti qui”.
Come devono essere apparse consolanti alla guardia quelle parole! Un’autentica buonissima notizia, per lui che stava per uccidersi, un autentico vangelo! “Guardia, non c’è ragione che tu tema nulla da noi, non c’è motivo che tu soffra a causa nostra. Siamo qui, il Signore non vuole toglierti nulla, anzi, vuole donarti una nuova vita”.
Ora comprendiamo che l’evangelizzazione passa attraverso parole e gesti “non standard”, che il Signore raggiunge il cuore dell’umanità parlando la lingua dell’umanità. E se anche noi cristiani moderni, nelle nostre comunità, sul luogo di lavoro, nelle famiglie, nella società, fossimo capaci di soccorrere gli spaventati, di mostrare il volto di un vangelo davvero buona notizia, di “essere tutti qui”, accanto all’umanità senza nessuna intenzione di ferirla o di gravarla, penso avremmo davvero assolto alla nosra funzione.
Quello che poteva sembrare un momento drammatico, il carcere in conseguenza di una rivolta, e trasformarsi in tragedia, il terremoto e la fuga dei prigionieri, si rivela invece una grazia. Il carceriere di Paolo chiede di essere battezzato insieme alla sua famiglia. Se c’è da imparare qualcosa penso sia di non disprezzare o sottovalutare nessun evento dela nostra vita, dal più esaltante al più umile e insignificante anzi doloroso, perché anche lì c’è ancora dato di esercitare il nostro servizio sacerdotale, di santificare noi stessi e gli altri, di rendere testimonianza a Cristo.
Rendiamo grazie a Dio per tutti i benefici che abbiamo ricevuto e per la pazienza che egli dimostra, educandoci come un Padre a non illuderci sulle nostre possibilità e sulle nostre capacità, a confidare in lui anche nelle situazioni più difficili e in cui non siamo in grado di vedere con chiarezza nemmeno quale sia la sua voltonà, ad abbandonarci alla Provvidenza che non abbandona nessuno dei suoi figli. Diciamo agli uomini di oggi: “Non fatevi del male, non abbiate paura di essere messi in pericolo da noi: siamo tutti qui, solidali con voi nel comune destino”.