Paradiso e strada stretta
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Quest’oggi cominceremo dalla fine: quando un giorno saremo in paradiso, non ci saranno più i sacramenti. Non ce ne sarà bisogno. In paradiso Cristo si vedrà come egli è, Dio si vedrà come egli è. Non ci sarà più bisogno di ricorrere ad immagini o simboli.
I sacramenti sono una figura di quello che ci attende, come spesso ci ricorda la stessa liturgia. Per spiegarlo ai miei alunni ricorro al classico esempio della fotografia. Immaginiamo che una persona sia fidanzata e sia in compagnia della propria ragazza o del proprio ragazzo. Non avrebbe senso tirare fuori dalla tasca una sua foto e contemplare la foto, mentre la persona è lì presente in carne e ossa; baciare la foto invece di baciare la persona. Sembrerebbe un controsenso. In paradiso avverrà lo stesso: essendo presente di persona colui che celebriamo nel sacramento, non avremo più bisogno di ricorrere alle sue “fotografie”.
Ma è Gesù stesso che nel vangelo odierno fa menzione di questa verità, quando afferma: “In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”. Nel regno di Dio vi sarà un “frutto della vite” completamente nuovo, totalmente diverso da quello che in quel momento Gesù offre ai suoi discepoli. Di cosa si tratta?
La teologia classica afferma che in paradiso noi avremo tre tipi di attività: la visio beatifica (visione che rende beati), la fruitio Dei (il godimento di Dio) e la communio sanctorum (la comunione dei santi). Cerchiamo di comprendere meglio queste tre attività.
La visio beatifica è la possibilità di vedere Dio come egli è, una visione che rende l’uomo beato, cioè eternamente e infinitamente felice. La felicità derivante dal “vedere Dio” si connota per due caratteristiche: la visio beatifica è tale in quanto è visio pulchrifica, cioè visione che rende “belli”, e visio bonifica, cioè visione che rende “buoni”. Se ci pensiamo con attenzione, si tratta delle due cose che ciascuna persona rincorre, in un modo o nell’altro, nel corso di una vita: essere belli e buoni. Belli non solo e non tanto nei tratti somatici esteriori, ma belli come “anime belle”, come persone in grado di affascinare per la loro distinta semplice spiritualità. E buoni non solo e non tanto perché si comportano bene, ma buoni come persone strutturalmente bonificate, come si bonifica un terreno inquinato che da quel momento torna a dare vita, ad essere apprezzato e considerato oasi di verde e di pace.
Abbiamo tradotto la fruitio Dei come “godimento di Dio”. In realtà è piuttosto complesso tradurre in un perfetto italiano il termine latino fruitio. Perché il fatto di stare in Paradiso certamente ci mette nelle condizioni di poter “godere” della presenza di Dio. In questo senso “godimento” assomiglia al piacere che proviamo nello stare in compagnia di qualche persona cara o di qualche amico. Come accade quando si invita qualcuno a cena e poi si chiacchiera e si mangia e si sta bene insieme, finchè non ci si rende conto che si è fatto molto tardi. E nonostante l’orologio corra, si avrebbe desiderio di stare ancora insieme e di non separarsi da una così bella compagnia. In paradiso, oltre questo tipo di “godimento”, dobbiamo pensarne un altro. Dio ci darà l’opportunità di essere per grazia quello che lui è per natura: in paradiso “godremo” Dio in quanto Dio metterà a nostra disposizione tutto quanto egli è, e ce lo darà in modo che ci appartenga. “Godremo” Dio perché saremo come lui!
Infine la communio sanctorum, quella che ci sembra essere la cosa più semplice e conosciuta. E tutto sommato è vero. Con l’avvertenza che Dio ha sempre pensato un paradiso al plurale, Dio non si è mai pensato rinchiuso in un’aurea solitudine. Prendiamo il vangelo di quest’oggi. Curiosamente i discepoli chiedono a Gesù: “Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Quasi che Gesù dovesse celebrare la pasqua da solo. Nella risposta di Gesù si smentisce implicitamente questa ipotesi: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”: io con i miei discepoli. Gesù si pensa al plurale. Comunione dei santi, perciò, è questo modo di pensare al plurale. Noi tutti conosciamo il senso di incomunicabilità che esiste tra gli uomini in questo mondo, a partire dalle famiglie per terminare alle grandi questioni del mondo: da quelli che vogliono di nuovo armarsi con armi atomiche e paventano guerre catastrofiche, a quelli che ricevono lauree honoris causa in diritto quasi ne fossero paladini. L’uomo alza barriere di incomunicabilità, adotta comportamenti incomprensibili. In paradiso l’uomo abbassa le barriere, i suoi comportamenti saranno trasparenti e assolutamente comprensibili. E ciascuno potrà trarre beneficio dal beneficio degli altri.
Ed ora arriviamo alla celebrazione odierna, il Corpus Domini. Gesù sapeva bene che per noi, ancora in viaggio verso la patria del cielo, queste realtà paradisiache sarebbero state comprensibili solo a patto che venissero veicolate nelle realtà tangibili tipiche della nostra condizione umana. Ecco quindi l’eucarestia, il sacramento che più di ogni altro ci “rappresenta” il paradiso, ne è una fotografia.
L’eucarestia è visio beatifica in terra. Ci permette di “vedere” Cristo. Non solo di vedere un pane e un vino, e di credere che quello è il Corpo e quello è il Sangue del Signore. Ma di vedere in quel Corpo e in quel Sangue tutto il mistero di amore che ci rende belli e ci rende buoni, che ci ha conquistato la salvezza e la redenzione. Un mistero di amore nel quale possiamo riconoscere che Gesù ha dato la sua vita per noi, e non in una maniera qualsiasi, bensì fino alla fine. Esattamente come ci ha amati fino alla fine, così ha dato la sua vita per noi fino alla fine, fino alla morte ignominiosa in croce, come un malfattore. Questo sacramento di amore è scritto nel pane e nel vino dell’eucarestia, in questo sacramento di amore noi “vediamo” esattamente Dio!
Il fatto, poi, che noi siamo stati invitati da Gesù a nutrirci di tale sacramento è la condizione sulla terra per la fruitio Dei. Mentre infatti “mangiamo” il Corpo e “beviamo” il Sangue di Cristo assimiliamo gli alimenti, egli “assimila” noi a lui. L’eucarestia ci rende simili a quell’amore che noi abbiamo riconosciuto e celebrato nel sacramento. Un amore di inesauribile vitalità. Questa è anche la ragione per cui ben difficilmente si potrà essere bravi cristiani senza accostarsi spesso all’eucarestia. Da essa traiamo la forza per poter assomigliare ogni giorno di più al Signore, per poter “godere” della sua presenza e della sua azione rinnovatrice nella nostra vita.
Infine non è un caso che il gesto di accostarci all’eucarestia venga chiamato “comunione”. Chiamati attorno all’altare, ci riconosciamo fratelli in quanto figli di un’unico Dio. Si realizza la communio sanctorum perché la comunità dei credenti finisce per avere un cuor solo e un’anima sola. Non è un fenomeno meccanico, fatale. Crescere nella comunione donata è anche un senso di donazione di sé, una sorta di autoespropriazione, allo stesso modo in cui Gesù si autoespropriò e si fece uomo e si donò completamente agli uomni. Comunicare al Corpo e Sangue di Cristo incide profondamente nei nostri cuori questa esigenza di essere accanto ai fratelli, di donare e di ricevere doni.
Finalmente la festa del Corpus Domini ci fa tornare con i piedi sulla terra. Ci indica il paradiso, certo. Ci indica però anche la strada stretta che possiamo percorrere fin d’ora, quella della fede e dell’abbandono, che trova nell’eucarestia l’espressione in terra più prossima alle realtà del cielo. Nella nostra preghiera odierna ringraziamo il Signore per il dono dell’eucarestia. Chiediamo di crescere nella consapevolezza di quanto sia importante per la nostra vita dello spirito nutrirci del Corpo e del Sangue di Cristo per divenire come lui ed essere sempre più un segno di speranza per i nostri fratelli.
Amen.