Paradossi di nominalismo contemporaneo
Ieri sera ero a cena con alcuni piacevolissimi amici (ma devo ammettere non meno piacevole la cucina: gli anellini alla palermitana di Isabella oltre alle sue milanesi di vitello ripassate al forno con salsa di pomodoro al profumo di cipolla e origano, i carciofi della mamma, la pastiera di Ginevra e il mandarinetto di Matteo possono essere solo immaginati da chi legge, ma chi scrive ha avuto momenti di autentica estasi culinaria…) e col mio consueto tono provocatorio ho proposto un azzardo.
Ho invocato una rapida approvazione in Italia della legge sulle unioni civili (coppie di fatto), che, a mio avviso, comporterebbe un vero regalo per la Chiesa cattolica (e non solo…). Infatti non appena entrasse in vigore tale legge, in ogni parrocchia, in ogni convento, in ogni monastero, in ogni fraternità si dovrebbe fare in modo che un prete anziano o una suora anziana, già pensionati, si presentassero davanti all’ufficiale di anagrafe insieme ad un prete giovane o a una suora giovane per dichiarare la loro intenzione di costituire una “coppia di fatto”. In tal modo godrebbero di tutti i diritti di legge, ivi compresi assegni familiari e reversibilità della pensione.
Fatti due conti, con qualche migliaio di unioni civili di questo genere sbanchiamo l’INPS e, a generazioni alterne, assicuriamo dignitoso mantenimento a preti e suore. A spese della collettività, evidentemente.
I commensali sono restati attoniti. Alberto è insorto, mettendo in luce la malafede insita in un gesto del genere.
Bè il paradosso c’è tutto. Ma il gesto non sarebbe illegale, altro che malafede! Non è illegale per il Codice di Diritto Canonico, che non prevede l’istituto delle “coppie di fatto” e quindi (per ora) non lo vieta; non è illegale per la legge italiana, per la quale ogni cittadino gode dei medesimi diritti, anche se prete o suora; non è immorale per chi dichiara l’unione perché non si tratta (e purché non si tratti) di violazione del VI comandamento né vi sarebbe l’intenzione di unirsi in matrimonio (cosa peraltro esclusa dal concetto stesso di “coppia di fatto” persino nelle intenzioni di un eventuale legislatore); infine non sarebbe immorale nemmeno sotto il punto di vista dei rapporti tra cittadino e Stato, in considerazione che quest’ultimo, con un’eventuale legge sulle unioni civili, vuole andare a disciplinare un ambito della vita sociale considerato attualmente privo di garanzie e quindi non potrebbe recriminare sull’eventuale successivo accesso alle garanzie di legge da parte di qualsivoglia cittadino.
Sarebbe solo una grande furbata, ecco tutto. Un furbata legale ed economicamente conveniente.
Così deve averla pensata pure un certo Jeremy Irons, attore e premio Oscar, che oggi ne ha sparata una ancora più grossa: matrimonio gay tra padri e figli. Per evitare la tassa di successione [leggi l’articolo]. Pare, peraltro, che lui abbia azzardato la sua provocazione perché non favorevole ai matrimoni gay.
La provocazione però non è priva di affascinanti evocazioni. Per esempio: è sufficiente la procreazione o la possibilità di procreazione come criterio per definire un incesto? Si può parlare di incesto tra due persone dello stesso sesso all’interno di uno stesso nucleo familiare? E nel caso sia escluso a priori l’atto sessuale siamo ancora in presenza di incesto?
Il matrimonio (quello classico) presenta importanti limitazioni circa la consanguineità. Le stesse limitazioni si possono applicare nel caso di un matrimonio gay tra due consanguinei, come da esempio un padre e un figlio? Mentre un matrimonio “classico” incestuoso (per esempio tra una madre e un figlio) sarebbe assolutamente impossibile per via dei limiti di legge, perché gli stessi limiti dovrebbero valere per un matrimonio tra consanguinei dello stesso sesso?
Ma posto anche che non sarà (auspicabilmente) possibile celebrare un matrimonio gay tra consanguinei (per quanto alla fine dubito che qualcuno non giunga ad impugnare un’eventuale divieto della legge in tal senso… e di contro in un caso del genere non pare neppure valido applicare il principio di analogia…), analogo divieto si estenderebbe alle unioni civili? Queste ultime, senza dubbio, non possiedono per loro natura la stessa forza dell’istituto matrimoniale. Quindi perché dovrebbero possedere anche le stesse limitazioni, dal momento che proprio l’assenza delle limitazioni dell’istituto matrimoniale rende le unioni civili tanto appetibili da parte di chi desidera usufruire di alcuni benefici di legge senza sopportare gli impegni derivanti dal matrimonio “classico”?
L’unione civile tra un padre e un figlio, pur non assurgendo al grado di matrimonio gay, produrrebbe effetti molto simili: per esempio la reversibilità dell’eventuale pensione e il passaggio dell’asse ereditario esentasse. E non si capirebbe in base a quale discriminante norma non sarebbe possibile applicare l’eventuale legge sulle unioni di fatto anche a familiari (dello stesso sesso). Infatti si potrebbe presentare il caso del fratello che accudisca il proprio fratello (o sorella) portatore di handicap: cosa vieta che un’unione tanto intensa e impegnativa riceva un riconoscimento legale con benefici almeno simili a quelli di un’unione civile tra persone non parenti tra di loro? Tra parenti ci si troverebbe di fronte ad una discriminazione addirittura più grave di quella (tra non parenti) che la legge vorrebbe sanare.
Per quanto io sia convinto che il legislatore, accortosi degli effetti che potrebbero degradare il valore della norma, sarà spinto a porre paletti ben precisi (ma non potrà metterne troppi, altrimenti la legge rischia di violare l’art. 3 della Costituzione Italiana e di essere bocciata dalla Consulta), sono altrettanto convinto che non sarà difficile rivendicare l’estensione di certi diritti anche in situazioni impreviste e attualmente imprevedibili.
Ragionare per paradossi qualche volta è utile. Se non ad interrompere il contemporaneo processo sociale apparentemente inarrestabile di “nominalizzazione” del dato reale, almeno a non rammaricarsi o peggio scandalizzarsi quando poi le cose accadranno.
Auguri e figli maschi a tutti. Soprattutto ai padri, che tra non molto se li potranno sposare.
I paradossi iniziano quando si confondono i limiti della biologia e della etica. Fuori dei limiti parlando di “amore – eros” si puo’ amare anche il cane. Allora, tutto normale. Quando “si sposa” il padre col figlio o la mamma con la figlia si puo’ fare anche il matrimonio col nostro amato cucciolo.
Don Ugo pensa a me che ho tre maschi figli!!!!