Parola, pane, poveri
Articolo scritto per il Bollettino della Postulazione delle Figlie della Chiesa
Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore
Con queste parole si apre il documento Gaudium et Spes del Secondo Concilio Ecumenico Vaticano. Più oltre lo stesso documento ammonisce i cristiani e ricorda loro quale sia la missione della Chiesa: “La miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d’una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e d’amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo” (GS, 88).
Non può stupire, perciò, che Papa Francesco, fedele interprete del Concilio e attento ai segni dei tempi, abbia voluto istituire la Giornata Mondiale dei Poveri, celebrata per la prima volta il 19 novembre 2017. Il Papa ha diffuso per l’occasione un messaggio intitolato Non amiamo a parole ma con i fatti (1 Gv 3,18), volendo fin da subito sgomberare il campo da ogni possibile equivoco: la Parola di Dio ci insegna che l’amore non è fatto di belle paroline ma di azioni concrete (n. 1). Senza dubbio siamo spinti a ricordare che “il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita” (n. 8). Tra di essi si trova il bisogno di un adeguato nutrimento, come quello di una dignitosa abitazione e di una cura rispettosa della persona e della famiglia.
Ma con sapienza Papa Francesco non si nasconde che la povertà ha “mille volti segnati dal dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro” (n. 5).
Questo saper riconoscere la povertà dei contemporanei e intraprendere le azioni che lo Spirito Santo ispira alla sua Chiesa “per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18) rappresenta il terreno di sfida sul quale si misurerà la coerenza evangelica delle nostre comunità nel terzo millennio cristiano. Lo proclamò solennemente il Santo Papa Giovanni Paolo II quando, a conclusione del Grande Giubileo del 2000, scrisse la Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (NMI) invitando a scommettere sulla carità: “Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente… Il cristiano, che si affaccia su questo scenario, deve imparare a fare il suo atto di fede in Cristo decifrandone l’appello che egli manda da questo mondo della povertà. Si tratta di continuare una tradizione di carità che ha avuto già nei due passati millenni tantissime espressioni, ma che oggi forse richiede ancora maggiore inventiva. È l’ora di una nuova «fantasia della carità»”. E conclude: “La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole” (NMI, 50).
Non amiamo a parole ma con i fatti.