Partecipi dei doni di salvezza
Esercizi Spirituali – Figlie della Chiesa, Domus Aurea, Ponte Galeria (RM)
Omelia del giovedì della VI settimana di Pasqua
La preghiera di colletta odierna ci ha fatto dire: “O Dio, nostro Padre, che ci hai reso partecipi doni della salvezza, fa’ che professiamo con la fede e testimoniamo con le opere la gioia della risurrezione“. In tali espressioni potremmo riconoscere la sintesi dei nostri Esercizi Spirituali e addirittura del cammino di fede cristiano e della vita spirituale di ogni credente.
Anzitutto siamo stati resi partecipi di un dono. Ciascuno di noi deve sentirsi impegnato a riconoscere i doni che ha ricevuto; non restando ripiegati su noi stessi e allargando il nostro orizzonte saremo in grado di scoprire di essere stati destinatari di molti doni, da molte persone, nella nostra vita. L’espressione della colletta, però, non parla semplicemente dell’atto di ricevere un dono, ma della partecipazione a un dono, anzi a tanti doni, al plurale, doni che hanno a che vedere con la salvezza. Siamo in grado di individuare i “doni” ricevuti in ordine alla salvezza?
Personalmente posso testimoniare alcuni doni relativi alla salvezza ai quali il Signore mi ha fatto partecipare. Per esempio in questi Esercizi mi ha fatto incontrare voi. Voi rappresentate per me un dono di salvezza. Le Figlie della Chiesa che hanno accolto me e voi, la comunità che ha pazientemente seguito con il servizio e la preghiera il nostro “ufficio divino”, mettendoci a disposizione un luogo dove riposare e ricreare lo spirito non sono forse un “dono di salvezza”? Non ci hanno salvato, per esempio, dalla tentazione di giudicare che “tutte le comunità sono uguali” o dal timore di non avere una famiglia che ci accoglie nella Chiesa?
E poi ci siete voi, ciascuna persona che ha partecipato a questi Esercizi. Voi siete un dono per la mia salvezza. Grazie a voi ho potuto “partecipare” al dono incomparabile del ministero pastorale di Gesù, Buon Pastore. Dove posso sentirmi ripetere, come cristiano e come prete, le parole di Gesù: “Mi ami? Pasci le mie pecorelle!” se non qui, in mezzo a voi? E dove posso esercitare la paternità dello spirito se non laddove si manifesta la “figliolanza spirituale”? Questo dono mi onora e mi spaventa allo stesso tempo. Come insegna sant’Agostino, sento la terribile responsabilità del peso di un compito tanto esaltante e importante; e spero ciò accada per ciascuno di voi, quando nei vostri rispettivi ambiti di attività il Signore vi raggiungerà per chiedervi: “Mi ami?“. E se risponderete “Sì, o Signore, lo sai che ti amo!“, allora attendetevi che il Signore immediatamente vi affidi il suo gregge: “Pasci le mie pecorelle!“.
Le “pecorelle” saranno persone anziane o viandanti da accudire; saranno bambini da educare o poveri da assistere; le tue pecorelle saranno le tue sorelle di comunità o i tuoi fratelli di parrocchia. Poco importa, saranno quelle che il Signore avrà affidato alle tue cure perché tu gli hai detto che lo ami. Anche a voi quindi spero si faccia sentire il peso della responsabilità; tanto forte che una persona sana di mente rifiuterebbe subito di portarlo. Ma questo è un “dono di salvezza” che noi “partecipiamo”. Non è banalmente “regalato”, è fraternamente “condiviso”. Noi condividiamo i doni della salvezza tra di noi e soprattutto con il Signore.
Voglia il Signore renderci persone umili e coraggiose per condividere con lui il peso dell’amore pastorale, per la salvezza nostra e dei nostri fratelli!
La preghiera di colletta che abbiamo pregato insieme presenta anche un’altra espressione rivolta al Padre: fa’ che professiamo con la fede e testimoniamo con le opere la gioia della risurrezione. Nel corso di questa settimana abbiamo meditato sulla fede “tenendo fisso lo sguardo su Gesù”. Di lui sempre e soprattutto in questo tempo di Pasqua non possiamo non ammirare la sua gloriosa risurrezione. Un evento che lascia stupito il cosmo e che sbalordisce i suoi discepoli, riempiendoli di gioia, poiché lo vedono di nuovo vivo con i segni della passione (“Gioirono al vedere il Signore” Gv 20,20; “Tornarono a Gerusalemme con grande gioia” Lc 24,52). La gioia che noi proviamo al termine di questi giorni di ritiro e di Esercizi sicuramente ha una componente umana e naturale, che non dobbiamo trascurare; anch’essa è un dono di Dio Creatore: lo stare insieme tra fratelli, il condividere il cammino della fede, conoscere realtà nuove e riposarsi.
Ma esaminiamola con maggiore attenzione, questa gioia. Non si vedono per caso i segni che ha lasciato la presenza dello Sposo? Non si sente quel profumo di un abbraccio con la persona amata che si è fatta presente in una Parola, in un sacramento, nello spezzare il Pane, nella natura serena o nella voce della vocazione? E il nostro cuore non ha sussultato al momento nel quale lo ha riconosciuto, ha riconosciuto il Maestro, il Risorto, lo Sposo, ed è stato appena in un istante, ma sufficiente per riempire una vita di dolcezza? E questi sentimenti non ci hanno rafforzato nel desiderio di compiere il bene, spronandoci a propositi più santi, irrobustendoci di fronte alle difficoltà, aprendoci ad una speranza nuova? La gioia conosciuta in questo modo è ben superiore alle gioie umane che dobbiamo apprezzare comunque; è una gioia spirituale con la quale attestiamo di “partecipare” ai doni della salvezza e in definitiva di “possedere” lo stesso Sposo!
Ecco allora che si compie il senso della nostra preghiera odierna, al termine del corso di Esercizi. La gioia che a noi giunge dalla risurrezione del Figlio, gioia non contenibile, è essa stessa missione, è compito, è stile di vita. Professione di fede e testimonianza di opere rischiano di diventare un mestiere come un altro senza un’anima. Certo, l’anima del credente è la certezza della risurrezione e della vita eterna inaugurate da Cristo, ma il solo modo perché tale verità di fede possa diventare credibile e creduta è che la gioia permei sia la professione che la testimonianza.
Preghiamo davvero, lasciando questi Esercizi, che il Signore doni a ciascuno di noi la capacità di ripetere tra gli uomini un “credo gioioso“, di esprimere il contenuto della fede in modo da superare diffidenze e incomprensioni parlando il linguaggio universale della gioia e della felicità. E allo stesso modo chiediamo al Signore che la testimonianza dei “gesti d’amore” non avvenga mai tra mormorazioni e malumori, ma tutto sia fatto con serenità e gioia come se fosse reso a Cristo in persona. Tale penso sia anche il migliore augurio che possiamo farci reciprocamente tornando alle nostre case e alle nostre occupazione. Che il Signore voglia ascoltarci!