Paternalismo clericale
E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo.
Le parole che Matteo attribuisce a Gesù in un duro discorso del capitolo 23 rivolto a folla e discepoli contro farisei e scribi prendono di mira non tanto il valore della “paternità” quanto il concetto di “paternalismo”.
In campo politico l’atteggiamento del paternalismo è stato ben studiato ed è ben conosciuto. Anche nella relazione medico-paziente, col suo carattere inevitabilmente asimmetrico, il paternalismo viene esplorato e piegato ad esigenze terapeutiche.
Quale che sia l’ambito considerato i paternalismi hanno in comune diversi aspetti: richiamano l’esercizio dell’autorità, il rapporto con i fini, l’esperienza dello sviluppo dell’autonomia e dell’autodeterminazione. Si sostiene che nell’epoca contemporanea sia entrato in crisi il paradigma di “padre”. Non altrettanto si può dire del concetto di (e della pratica del) paternalismo, il quale vive una sua esistenza ambigua al fianco di quello di paternità soprattutto nell’ambito clericale.
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Sembra un paradosso, ma nei documenti ufficiali della Chiesa cattolica in tema di presbiteri e vocazioni l’accenno più sostanzioso alla paternità spirituale viene solo dal Direttorio del 2013. Una riflessione sistematica sul significato di paternità a livello teologico, pastorale e psicologico non pare essere stata mai affrontata prima.
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Approfittando dei documenti pubblicati e cercando attraverso le analogie presenti o i richiami alla tradizione ecclesiale di individuare le caratteristiche dell’invocata paternità si ricava il profilo di un prete che, spinto dall’amore del Padre a condurre tutti al Padre (Pastores dabo vobis), cerca di preservare i fedeli dall’errore intorno ai servizi ecclesiali (Istruzione su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti) ed esercita un modello di paternità immedesimandosi psicologicamente nell’ideale di padre visto come figura fortemente radicata in Dio (Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri 2013).
Non meraviglia perciò che a fronte dell’esigenza di una formazione permanente del clero si senta ripetere il mantra della priorità dell’essere sacerdote, che sarebbe questione di identità fondata sulla conformazione a Cristo. In realtà la conformazione a Cristo non è specifica del sacerdote, facendo parte del bagaglio spirituale di ogni battezzato. E sarebbe da stupirsi se un sacerdote non lo abbia compreso e interpretato nei lunghi anni di formazione seminaristica, ben sette, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, caso unico al mondo in fatto di formazione del personale per durata, intensità e qualità!
A differenza della conformazione a Cristo, un processo che richiede sì adeguamento psicologico e spirituale ma come effetto di un dono di grazia che parte dal battesimo, l’esercizio della paternità come elemento caratteristico dell’essere prete (ministro di paternità) comporta un articolato percorso di acquisizione di competenze e abilità umane non automaticamente desumibili dal sacramento dell’ordine sacro. Perché si ha a che fare con contesti antropologici diversi, con l’hic et nunc della storia personale e sociale, con la maturazione della consapevolezza ecclesiale.
L’alternativa, quale declinazione facile ed immediata dell’assenza di qualità umane, è il paternalismo clericale. I tre aspetti nei quali si rivela la presenza del paternalismo sono riscontrabili anche nell’ambito clericale.
L’esercizio dell’autorità del prete-paternalista si riveste di autoritarismo per mascherare l’assenza di autorevolezza. Il confronto, soprattutto con coloro che – laici o chierici, credenti o non credenti – potrebbero offrire soluzioni e punti di vista migliorativi, viene mortificato. Il dialogo del prete-paternalista è ridotto ad un trasferimento unidirezionale di informazioni incomplete, non in grado di mettere l’interlocutore nelle condizioni di operare le scelte più opportune per sé e per gli altri. Fu San Benedetto a suggerire nella sua Regola qualche rimedio per un esercizio di autorità paterna.
I fini del prete-paternalista sono adottati arbitrariamente e secondo convenienza. Evitando di sottoporre i risultati ad una verifica autentica, il prete-paternalista sposta l’asticella rendendo sempre più difficile il percorso: se non è stato raggiunto un obiettivo pastorale, però ci sarà un riconoscimento per lo sforzo umano compiuto; se l’obiettivo non raggiunto è quello dello sforzo umano, i problemi pastorali incombono. Se tra preti è auspicabile un clima di fraternità, tuttavia la Diocesi non entra nelle cose tra preti. Dobbiamo agli Esercizi Spirituali di Sant’Igrazio l’insegnamento di un metodo rigoroso e proficuo per il discernimento spirituale e la verifica dell’autenticità dei risultati.
Il prete-paternalista confonde lo sviluppo dell’autonomia e dell’autodeterminazione con disobbedienza e rivolta. Se in apparenza sembrano buone le intenzioni che animano un prete-paternalista sempre vigile su confratelli e fedeli per prevenirli dagli errori e star loro accanto in ogni momento di crescita o di difficoltà, nella realtà il prete-paternalista sta solo soddisfacendo il suo bisogno di ruolo e danneggiando gravemente la maturazione dell’uomo nuovo che dovrebbe aver in qualche modo generato. L’impossibilità di sperimentazione pastorale da parte dei sacerdoti come di iniziative laicali indipendenti da ispirazioni e supervisione della gerarchia sono giustificate dall’esigenza di uno stretto controllo per il bene della Chiesa e la conservazione dell’ortodossia della fede. In questo senso non si può prescindere dall’insegnamento insuperato di un maestro moderno, Lorenzo Milani, autore di vari scritti, tra i quali Esperienze Pastorali, la cui lettura dovrebbe diventare obbligatoria nei seminari. La convinzione di base di Milani (prima di ogni cosa la coscienza formata che sceglie e obietta) lo porta a concludere che l’obbedienza non sia tanto pertinente prima del fatto quanto dopo il fatto: “Col sistema di distinguere l’obbedienza prima dall’obbedienza dopo si può dare ai giovani preti una lezione di ribellione obbedientissima, perché colui il quale segue, volta volta, la sua coscienza, con la migliore delle intenzioni, avendo già progettato sinceramente fino in fondo assoluta obbedienza in caso di stangata, è perfettamente obbediente, è perfettamente sottoposto ai vescovi e non blocca il progresso teologico, pastorale, sociale e politico del suo insegnamento” (fonte).
Se nel discorso di Gesù del capitolo 23 del vangelo di Matteo sostituissimo a scribi e farisei l’espressione preti-paternalisti potremmo ragionevolmente concludere che il Signore si riferisse pure a questi ultimi.
Guai a voi, preti-paternalisti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini…
Guai a voi, guide cieche…
Guai a voi, preti-paternalisti, che … trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà…
Guai a voi, preti-paternalisti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati…
Benedetto invece colui che viene nel nome del Signore!