Problemi filosofici delle teorie del gender
Ineludibili difficoltà filosofiche
Bertrand Russell diceva che “la filosofia è un tentativo straordinariamente ingegnoso di pensare erroneamente“. Ovviamente la geniale ironia di Russell colpiva anche lui, universalmente riconosciuto come fondatore della filosofia analitica. Nonostante il luogo comune che vede nel filosofo (e nelle questioni che solleva o quelle che risolve) una sostanziale inutilità per l’esperienza quotidiana, persino Russell, con i suoi paradossi, rese possibili importanti scoperte, come quella di Kurt Gödel, ricordato per i teoremi che portano il suo nome.
Anche le teorie del gender innescano una serie di riflessioni che mostrano le difficoltà filosofiche, e di logica, insite nello stesso progetto teorico, difficoltà non facilmente eludibili.
Difficoltà della libertà personale
Grazie alla ricerca delle scienze umane (e biologiche) si sono compresi meglio alcuni meccanismi alla base dello sviluppo dell’identità di genere. Appare ormai abbastanza certo che a tale sviluppo collaborino più fattori. Importanti indizi di carattere biologico fanno ritenere plausibile che il concorso di alcuni ormoni sia indispensabile per la formazione dell’identità di genere; allo stesso tempo si confermano significativi gli interventi sociali, culturali, intergruppo che agiscono in periodi diversi della vita personale fino ad una completa chiarificazione delle rispettive identità.
Anzitutto accettando il ruolo svolto dai fattori biologici nello sviluppo dell’identità di genere si mina alla radice il valore attribuito da alcune posizioni confessionali al concetto di “natura”, nello specifico sotto il suo contrario: contro natura. Infatti riconoscendo al substrato biologico la più naturale delle espressioni antropologiche, dopo le osservazioni scientifiche condotte in questi anni si deve ritenere – pur non avendo ancora del tutto chiari i meccanismi di azioni – che nessun processo di sviluppo dell’identità di genere è contro natura, ma che ciascuno segue un ben preciso percorso chimico-fisico, ciascuno è, tutto sommato, secondo natura.
In secondo luogo gli studi della psicanalisi classica hanno dimostrato ampiamente che le scelte individuali sono altamente influenzate dall’ambiente familiare nel quale le persone crescono e si sviluppano. Le figure genitoriali sono tutt’altro che indifferenti. In positivo e in negativo le convinzioni e i comportamenti (a volte malati) del padre e della madre riescono a consolidare nella personalità dei figli certe impronte caratteristiche con precisi effetti sulla personalità e sul carattere.
Ma non si devono dimenticare gli influssi che la società e la cultura esercitano sulle persone. Che essi avvengano per azione diretta della società e della cultura sugli individui o che avvengano come risposta degli individui alle pressioni sociali e culturali più o meno interiorizzate cambia poco la sostanza di quel mutuo scambio per cui nessuna persona può sfuggire dai condizionamenti del suo contesto.
Non è una casualità che i contemporanei movimenti di liberazione LGBT (sigla ormai inflazionata che sta per: Lesbico – Gay – Bisessuale – Transessuale; per seguire il dibattito sulla sigla, non da tutti i movimenti considerata completa, si rimanda al portale LGBT di Wikipedia), in considerazione di queste osservazioni, rivendichino soprattutto a livello sociale e politico la libertà di decidere la propria sessualità (identità di genere, ruoli e orientamento) e sollecitino i poteri politici ad adeguare le legislazioni alle mutate esigenze. Non si tratta semplicemente di ammettere la possibilità del poliamore (argomento affatto diverso per la sua teorizzazione della “nonmonogamia etica“, con un dibattito aperto sulla questione della sua legittimità in caso di riconoscimento LGBT) ma di ottenere il “riconoscimento di diritti” di varia natura (matrimonio, adozione, procreazione surrogata, ecc.), tutti facenti capo al diritto primario della libertà di decidere la propria sessualità (identità di genere, ruoli e orientamento).
La difficoltà principale che si rinviene in tali pretese risponde alla domanda: siamo davvero liberi di determinare con il solo nostro atto di volontà il genere, i ruoli e l’orientamento di natura sessuale? Ovvero: la libertà personale è sufficiente e legittimata a determinare da sola l’identificazione e l’appartenenza ad un certo gender? Tutto quanto precedentemente detto porta a constatare l’esistenza di un paradosso.
Infatti, se si ammette con le teorie del gender che la persona umana sviluppi la propria identità di genere a partire da una determinazione biologica (che sfugge evidentemente alla libera volontà dell’individuo) in collaborazione con altre spinte sociali e culturali, soprattutto in età evolutiva (anch’esse indipendenti dalla libera volontà dell’individuo), si dovrà rispondere che no, non siamo liberi di determinare con il solo nostro atto di volontà genere, ruoli e orientamento sessuali. Essi infatti sono decisi altrove, nel codice genetico, nei meccanismi chimico-fisici del nostro cervello o nei contesti sociali e culturali e quindi il soggetto è tenuto semplicemente a riconoscerli e ad accettarli. In questo caso diventa insostenibile la tesi dei movimenti LGBT di proporre la libertà quale perno su cui fissare la rivendicazione dei diritti. Mentre invece comincerebbe ad apparire problematico il rifiuto giuridico e sociale di pratiche sessuali considerate inaccettabili, abnormi, patologiche: la pedofilia in primis, ma pure certe parafilie che vanno dall’esibizionismo allo snuffing (eccitazione sessuale provocata dal proprio omicidio o dall’uccisione del partner consenziente), dal cannibalismo erotico (godimento sessuale nel nutrirsi di carne umana o nel far nutrire della propria carne) alla modifica e all’amputazione di parti del corpo, proprio o altrui.
D‘altra parte se si prescinde da quelle teorie non resta altro che ammettere il ricorso al diritto positivo e alla libera contrattazione sociale con riferimento alla cultura dominante, ricadendo quindi nel caso della difficoltà dei teoremi culturali. Il corpo sociale, in forma più o meno democratica (se si fa la tara di eventuali lobbismi), decide con una competizione in modo del tutto legale ma arbitrario ciò che è liberamente accettabile nel suo contesto. Il gigante che si viene a creare, pur avendo una testa d’oro – quella dell’affermazione del diritto e della libertà -, mostra di avere piedi di argilla mescolata a polvere di ferro (cfr la profezia di Daniele). In quei piedi, fatti di materiale fragile e non amalgamato, sta tutta la debolezza del gigante sociale. La libertà di scelta infatti viene a trovare il suo fondamento esclusivamente nella volontà (più o meno) democratica di un gruppo sociale, senza altro riferimento che se stessa. La libertà personale – quale che essa sia – si troverebbe schiacciata sia da una parte che dall’altra a seconda di chi risultasse vincitore della competizione.
Ma il problema centrale è che la persona umana che emerge da tale aporia è sostanzialmente incapace di atti liberi (buoni o cattivi che siano). Per lei o decide la biologia o decide il contesto esistenziale o decide la cultura o decide il diritto democratico. Non so se sia possibile applicare all’ambito della morale il secondo teorema d’incompletezza di Gödel (per intenderci, quello che afferma che una teoria matematica, per essere coerente, non può provare la sua coerenza all’interno di se stessa). Di sicuro vale per questo caso il trilemma di Münchhausen: non è possibile uscire da soli fuori dal pantano tirandosi per i capelli (per chi li ha). Senza un’autentica libertà non è possibile in alcun modo stabilire i confini tra le azioni buone e le azioni cattive, vanificando ogni sforzo di stabilire rapporti autenticamente umani. Ma dove fonda la libertà personale, e quindi la moralità delle azioni? Su se stessi? Sulle proprie scelte, regolate dalle reazioni chimico-fisiche o dalle pressioni psico-socio-culturali? Sappiamo che da tempo è in atto una sorta di de-moralizzazione delle scelte umane; in proposito ne ho fatto cenno nel mio post Emozionismo in azione, dove ricordavo il tentativo di ridurre le categorie morali (bene – male) a categorie pseudolegali (giusto – ingiusto) e a trovare le fonti dell’atto morale nelle emozioni inculcate dalla cultura. Se non si risolvono le contraddizioni delle teorie del gender si prospetta un ulteriore riduzionismo della persona umana che, privata del suo orizzonte di libertà, viene lasciata in balìa di fattori biologici e psico-socio-culturali.
I riferimenti alla libertà e alla moralità delle scelte mostrano che una possibile soluzione alla questione dell’identità di genere sia rinvenibile, lontano da qualsiasi tentazione di relativismo, entro un progetto che accetti la visione di una persona fondamentalmente libera nella misura in cui sappia orientare tutti i suoi atti e le sue scelte verso il bene, indipendentemente da ogni condizionamento, biologico o socio-psico-culturale. Per esperienza ciascuno sa che scegliere il bene, anche il bene del soggetto che pone l’atto, non sempre coincide con un vantaggio biologico (pensiamo alla situazione limite della gravidanza di una donna: il bene di una nuova vita comporta grandi difficoltà e rischi per la mamma), non sempre coincide con un vantaggio personale (pensiamo a Nelson Mandela, carcerato per lunghi anni a causa del suo impegno civile), non sempre coincide con un vantaggio sociale (pensiamo a chi sceglie di non abortire, rinunciando a o ridimensionando le proprie aspirazioni lavorative). Il bene impegna per sé ed è l’unica garanzia di libertà autentica.
Difficoltà del danno iatrogeno
Esistono patologie, complicazioni, effetti collaterali in ambito LGBT in seguito a errori, sperimentazioni, sottostima degli effetti, trattamenti non testati in campo medico/clinico riconducibili alle teorie del gender? In realtà quella del danno iatrogeno parrebbe una difficoltà solo ipotizzabile, in mancanza di studi specifici. Ma con questo non meno reale. In che misura le novità teorico-tecnologiche introdotte in campo medico e psicologico hanno contribuito a modificare la percezione personale dei soggetti coinvolti? Assecondare un soggetto egodistonico (cioè con comportamenti e idee non in armonia con i bisogni del proprio io) nelle sue richieste e produrre una teoria per spiegarne la legittimità è più terapeutico e meno ideologico di scelte diverse? La scienza non è neutra, lo sappiamo. E gli scienziati non sono infallibili, con grande disappunto di chi fa le spese dei loro errori. La questione della “riassegnazione del genere” (da molti interpretata come “cambiamento del sesso”), per esempio, si presenta come una questione dove intervengono pesantemente convinzioni teoriche, tecnologie mediche, competenze psico-sociali spesso per interventi effettuati su soggetti molto giovani e appena post adolescenti. In che modo si assicura la riduzione del rischio del danno iatrogeno su tali soggetti?
La triste storia di Bruce Peter Reimer (alias David, alias Brenda), nato maschio e costretto alla riassegnazione del genere fin dalla più tenera età ha dimostrato chiaramente il fallimento delle teorie della neutralità di genere (si nasce senza imprinting sessuale) come anche della teoria interazionista (dopo una certa età l’identità di genere diventa fluida ed è sottoposta ad aggiustamenti). A spese del povero Bruce, morto suicida a soli 38 anni. Naturalmente su Bruce, sul suo corpo e sulla sua psiche, furono effettutati interventi rilevanti creando un danno irreversibile. Non si trattava di interventi “estetici”, come di fatto sembrano risultare quelli praticati attualmente con interventi chirurgici per modificare o amputare organi e con trattamenti ormonali. Semplicemente nessuno si curò di sapere se Bruce era egosintonico (cioè con comportamenti e idee in armonia con i bisogni del proprio io) nonostante l’incidente, anche questo di natura iatrogena, occorsogli a pochi mesi.
L‘esperienza di Bruce spinge a chiederci: è legittimo – medicalmente, clinicamente, socialmente, culturalmente – proporre una teoria o una serie di teorie (quelle del gender, nello specifico) come valide (nonostante una sperimentazione assente e una validazione difficile se non impossibile) e comportarsi come se lo fossero ed imporle nell’educazione delle giovani generazioni fin dalla più tenera età? Non si corre il rischio di ripetere lo stesso errore fatto con Bruce, con la differenza che il presente risulterebbe un errore sistemico, difficile da determinare nella sua entità e difficile da eliminare se non ricorrendo a sistemi alternativi? E la portata dei danni iatrogeni introdotti da questo errore sistemico sfuggirebbe ad ogni possibilità di controllo in quanto non si limiterebbe esclusivamente ad una persona ma investirebbe trasversalmente più di una generazione.
L‘obiezione di fondo rivolta a chi si oppone alle teorie del gender sarebbe che molti soggetti che in precedenza non avevano trovato giovamento dalle convizioni culturali, mediche e cliniche fino ad allora praticate hanno invece ritrovato finalmente il loro benessere grazie a trattamenti medici e clinici adeguati ispirati a quelle teorie. In tal senso, affermano, il paradigma delle teorie del gender non solo funziona ma deve essere considerato l’unico che possa liberare da pregiudizi morali, culturali e religiosi e spiegare scientificamente lo sviluppo dell’identità del genere aiutando ad assumere consapevolmente un ego sintonico. A fronte di tale obiezione vale l’osservazione che sono molti quelli che in passato e nel presente hanno beneficato di un ego sintonico, rispetto alla loro sessualità, e non hanno sentito il bisogno di una teoria che spiegasse loro il perché. Mentre invece si troverebbero molto a disagio nel fare riferimento ad un modello di sessualità che non avvertono proprio, con il rischio di introdurre una distonia nel loro io, un danno sicuramente di natura iatrogena.
In effetti occorre ricordare che le teorie del gender sono nate proprio per dare un sostegno alla comprensione di alcuni problemi legati all’identità di genere. Chi non aveva tali problemi non ha mai provato l’esigenza di spiegare perché non li avesse. Occorre vigilare affinché le teorie, nel tentativo di aiutare quanti si sono trovati o si trovano in difficoltà, non creino difficoltà analoghe a chi prima non le aveva.
Difficoltà dei teoremi culturali
Facebook, il noto social network, sembra aver risolto il suo problema nei confronti del gender. Nella casella per la scelta del genere sessuale ha inserito ben 50 possibilità, recentemente estese a 71. L’intero elenco è consultabile qui (in inglese). Una definizione di alcuni dei termini riportati si può leggere in questo articolo (in inglese).
Come valutare la scelta di Facebook? Il portavoce di Facebook, Will Hodges, in occasione dell’introduzione del “custom gender” (“genere personalizzato”) tra le opzioni ha affermato: “While to many this change may not mean much, for those it affects it means a great deal” (“Mentre per molti questo cambiamento potrebbe non significare nulla, per gli interessati vuol dire molto”). Nel valutare la novità Facebook sembra abbracciare una tesi liberale: non mostrare nessuna preferenza, lasciare all’utente finale la libertà di selezionare ciò che preferisce, indipendentemente da qualsivoglia giudizio morale o scientifico. Apparentemente la valutazione del network appare rispettosa di maggioranze e di minoranze e non fa altro che cercare di assecondare i bisogni dell’utente finale nel “suo interesse”.
La scelta di Facebook rivela in ogni caso quanto siano consistenti le influenze culturali sui vari temi di interesse sociale (e personale). Rivela pure che in ordine alla cultura, soprattutto quella dominante o in via di affermazione, ci si trova in presenza di un magma poco differenziato di scientificità, bisogni sociali, innovazione giuridica, movimenti di polarizzazione dell’opinione pubblica, interessi economici. Naturalmente la scelta di Facebook, e di chiunque altro, di abbracciare incondizionatamente le teorie del gender o almeno alcuni risultati della ricerca scientifica non può essere considerata una responsabilità dei teorici. La scienza non si può considerare responsabile di chi non la comprende o di chi la strumentalizza. Tuttavia l’utilizzo “parascientifico” (cioè viziato da interessi non scientifici e strumentalizzato per obiettivi diversi da quelli degli scienziati) di dati scientifici non esime dal prendere posizione nei confronti di chi occupa una posizione culturale dominante. A fronte delle affermazioni di Hodges si devono quindi sollevare riserve non irrilevanti che spingono a ritenere il comportamento di Facebook un prodotto di molteplici interessi in gioco.
Tutti i teoremi culturali (in questo caso utilizzo il termine teorema secondo il significato n. 3 dato da Treccani) hanno in comune il percorso seguito da certa pseudoscienza come nel cosiddetto Metodo Stamina. Chi non conosce o ricorda la storia può informarsi leggendo l’articolo citato da Wikipedia. Qui vorrei semplicemente schematizzare i principali passaggi caratteristici di qualsiasi teorema culturale:
- presa di coscienza del problema: i “casi problematici” vengono gradualmente riconosciuti e la loro esistenza comincia ad affermarsi nella consapevolezza dell’opinione pubblica, indipendentemente dalla loro incidenza statistica reale;
- incapacità delle risorse tradizionali a prospettare soluzioni efficaci: i tentativi di risolvere i “casi problematici” ricorrendo agli strumenti umani, scientifici, tecnologici già provati falliscono nella maggioranza dei casi e uno dopo l’altro;
- moltiplicazione delle teorie: di fronte al fallimento delle risorse tradizionali e ai tempi sempre più ridotti rispetto alle richieste di intervento si moltiplica la produzione di teorie finalizzate all’individuazione degli interventi più opportuni;
- pressione dei soggetti interessati sui soggetti scientifici e sui soggetti politici: l’urgenza di una soluzione che i soggetti interessati avvertono pressante li spinge ad esercitare un’analoga pressione (morale, mediatica, pubblica, dimostrativa, ecc), spesso in forma associativa, su quanti sono deputati a ricercare una soluzione, sia scientifica che politica;
- apparizione e affermazione della “sostanza soterica“: spesso legata alla figura di un soggetto dalle caratteristiche messianiche (sia persona singola sia gruppo associativo), quale frutto di una teoria rivoluzionaria si afferma la possibilità di “salvezza” attraverso l’uso di un oggetto o di un prodotto chimico, di una macchina a bassa o elevata tecnologia, l’abbraccio di una ideologia, l’applicazione di un procedimento o di un metodo, la scelta di un modello di vita, eccetera;
- critica del noto: di pari passo all’affermazione della “sostanza soterica” i soggetti interessati come “casi problematici” si pronunciano negativamente su quanto fino ad allora esperito e sui soggetti che lo avevano promosso, approvando senza condizioni le novità;
- reazione dei soggetti tradizionali: nella lotta tra i due paradigmi – quelli noti contro quello della “sostanza soterica” – i soggetti tradizionali (comunità scientifica, comunità politica, comunità religiosa, eccetera), spesso in forma coalizzata, realizzano una serie di azioni per bloccare l’affermazione del nuovo modello;
- disperazione dei soggetti interessati: di fronte al blocco del modello che rappresenta la loro ultima o unica speranza di “salvezza”, i soggetti interessati mostrano di non rassegnarsi alla disperazione, promuovendo azioni dimostrative e adottando iniziative legali e mediatiche per ottenere il riconoscimento sociale della propria ambizione;
- disvelamento della realtà: l’analisi alla quale viene sottoposta la “sostanza soterica” da parte dei soggetti tradizionali rivela la realtà: a volte si tratta di autentiche truffe di ciarlatani, a volte di mistificazioni, a volte di credulità in buonafede, a volte di manie di divismo o di protagonismo, nella stragrande maggioranza tutti casi accompagnati da formidabili interessi economici;
- crisi dei modelli: i modelli basati sulla “sostanza soterica” entrano in crisi perché non solo non si dimostrano all’altezza delle aspettative dei “casi problematici”, ma anche perché mancano di rispetto della loro dignità e mostrano un indiscutibile aspetto venale; in molti casi la parabola di tali modelli si conclude in un’aula di tribunale.
Esistono motivi validi per considerare teorema culturale pure il comportamento di Facebook e per metterlo in discussione, motivi sinteticamente di tre ordini:
- motivi di carattere scientifico: le teorie del gender non hanno trovato finora nella comunità scientifica una condivisa approvazione; le conclusioni cui giungono, a volte contraddittorie, riescono a spiegare un certo numero di “casi problematici” ma non danno ragione di altri; di fronte al moltiplicarsi delle teorie lo stesso Dèttore è spinto ad ammettere che “la disputa fra fattori biologici e sociali nella strutturazione dell’identità di genere… è ben lungi dall’essere risolta e, molto probabilmente, una soluzione definitiva non sarà mai possibile” (p. 22); mentre è possibile che entrambi i fattori contribuiscano allo sviluppo dell’identità di genere, ricavare certezze pratiche, come fa Facebook con il “custom gender”, da una teorizzazione incompleta e contrastata appare quantomeno improprio;
- motivi di carattere mediatico-comunicativo: non prendere posizione e lasciare apparentemente liberi gli utenti di personalizzare il proprio gender si qualifica come una sorta di “sostanza soterica“; Facebook sembra scegliere la via più breve e di maggiore successo per attrarre consensi (il “mi piace” su cui si fonda la cultura facebookiana) chiamando in causa, con una geniale strategia comunicativa, gli “interessati” quasi fossero una minoranza, ben consapevole che al gender-sesso nessuno può sfuggire (la totalità); e proponendo come soluzione di un conflitto più o meno esplicito (interiore o sociale) l’esibizione delle intime convinzioni degli utenti rispetto al proprio gender, con la quale esibizione essi escono confermati e rafforzati rispetto ad una approvazione ricercata in misura maggiore o minore;
- motivi di carattere industriale: Facebook è un network quotato in borsa che deve rendere conto ai propri azionisti e comunque deve ricavare utili dalla propria attività; come società la cui quotazione procede di pari passo al suo gradimento su internet e quindi alla possibilità di investitori che contribuiscano al fatturato Facebook non può permettersi il lusso di perdere consensi e iscritti; impossibile, perciò, ricavare una sorta di legittimazione culturale o sociale alle proprie convizioni da parte di un soggetto che proprio sull’approvazione che riceve dai suoi utenti fonda il suo fatturato; l’interesse di Facebook, prevalentemente economico, non deve necessariamente coincidere con quello dei suoi clienti.
Si deve considerare che nel progetto sociale insito nel teorema culturale sposato da Facebook le persone sono considerate sotto un aspetto squisitamente individualistico. La moltiplicazione dei generi, infatti, apre a scenari di frammentazione e contrapposizione umane. La differenziazione paradossale tra ciascuno dei sottogruppi prelude ad una incomunicabilità di fondo, posto che come afferma Montano il corpo fa parte del linguaggio interpersonale (p. 129). Né si può escludere in linea di principio che la parcellizzazione progredisca, in un processo destinato potenzialmente a fare di ogni individuo un genere a sé, laddove si ammetta che ciascuno possa costruire o ricostruire la sua identità di genere, diversificandosi dagli altri con sfumature qualche volta impercettibili. Una società che dovesse evolvere in questa direzione troverà certamente un punto di equilibrio riuscendo sia a favorire l’incontro tra gender compatibili sia la sua stessa perpetuazione; e anche qui vale la pena notare che l’aspetto riproduttivo, relegato da Dèttore a un residuo darwinista, pare ormai abbastanza marginale rispetto all’aspetto unitivo e ricreativo dei soggetti agenti e comunque le tecnologie biologiche e mediche già da tempo possono assicurarlo senza necessariamente ricorrere ad un atto sessuale.
Ciò che conta, in tale progetto sociale, è che l’individuo sia “riconosciuto”, non che sia “conosciuto”; che egli possa “affermarsi”, non che possa “adattarsi”; che egli persegua il proprio “progettare”, non che si allei in un “realizzare”. Probabilmente tutto questo è il frutto della novità antropologica contemporanea, che ci mostra un mondo (con la sua paura) di “sconosciuti”, “disadattati”, “falliti”. Interessante in proposito l’esperienza e l’idea dimostrate da Sam, che si presenta come “a simple transguy transitioning in New Zealand” (semplicemente un transguy della Nuova Zelanda in fase di transizione, in altre parole una donna che attraverso una serie di interventi chirurgici e di trattamenti ormonali sta assumendo le fattezze fisiche di un uomo). Sam avverte l’esigenza di far conoscere la sua storia, la sua vita e le sue convinzioni e di farsi riconoscere nella sua nuova condizione attraverso un sito internet nel quale pubblica i suoi disegni. A differenza di altri soggetti, Sam pare aver evitato la strada della pornografia, abitualmente percorsa da chi spinto dalle sue stesse identiche motivazioni di fondo è alla ricerca di denaro o di esibizione. Nell’opera di Sam si coglie un indiscutibile aspetto apologetico di una cultura che appare perfettamente conosciuta e dominata al punto da poterla “illustrare” a beneficio di un eventuale uso educativo (si veda in proposito la striscia realizzata come “una super semplice guida a fumetti” per spiegare le teorie del gender).
E sono contento che proprio oggi papa Francesco, parlando ai medici cattolici, abbia detto che nel nostro tempo sulla vita si sperimenta “male”, che si usano vite umane “come cavie da laboratorio” e che si “fanno” figli invece di “accogliere” figli http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/november/documents/papa-francesco_20141115_medici-cattolici-italiani.html