di Ugo Quinzi
Don Antonini è stato il mio primo Parroco da prete. Anche da diacono, va’.
Guai a chiamarlo don Gennaro. Il suo nome di battesimo lo usava solo il 19 settembre, memoria del santo partenopeo, che a Santa Paola Romana coincideva con l’inizio dell’anno pastorale. Così don Antonini non si sentiva in obbligo di fare festeggiamenti suoi.
Arrivai nella sua Parrocchia nel 1990. Appena il cardinal Poletti mi comunicò quale sarebbe stata la mia destinazione da viceparroco, presi Tuttocittà (allora l’unico modo di orientarsi all’interno della capitale), salii in sella del mio Califfone e feci un giro alla Balduina. Erano circa le 4 del pomeriggio. Passai a via Duccio Galimberti e vidi un signore che stazionava sulle scalette di una porta accanto all’ingresso della Parrocchia. Scoprii successivamente che sì, era lui, don Antonini. Breviario sotto mano, immancabilmente alle 16 apriva la chiesa e si metteva in ufficio parrocchiale per ricevere le persone.
È rimasto Parroco della stessa Parrocchia per oltre 30 anni. Mi raccontavano che quando nei turbolenti anni ’70 a viale delle Medaglie d’Oro avvenivano gli scontri tra personaggi di sinistra e personaggi di destra (e c’erano stati pure i morti), don Antonini con il suo breviario si metteva a passeggiare tra i due fronti opposti per dividere gli scalmanati. Passeggiare e pregare. Così ricordo don Antonini.
Era presente e concelebrava il giorno della mia ordinazione. Poi mi confidò che i canti della Messa non gli erano piaciuti. Lui, musicista dall’orecchio fino e ben educato, amava l’organo e non la chitarra, la melodia e non il ritmo, l’armonia e non contrappunto.
Qualcuno, conosciuta la mia destinazione, mi mise in guardia. Pareva che don Antonini avesse un caratteraccio. Probabile. Ma non con me. Ci fu subito intesa tra noi. Un’intesa e una stima che crebbero lungo i sette anni nei quali collaborammo.
Scoprii che don Antonini era stato compagno di studi e amico del mio padre spirituale, il compianto Padre Enzo Ignazi, il quale, prima di passare nella Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, era stato incardinato nella Diocesi di Roma. Ma non credo che questo fatto abbia pesato più di tanto sulla bontà del nostro rapporto. In realtà la frequentazione quotidiana mi fece capire che il carattere ruvido di don Antonini dipendeva solo da una timidezza di fondo che cercava di mascherare così.
Don Antonini aveva un unico hobby: fare la guida dei pellegrinaggi in Terrasanta. Era richiesto per la sua chiarezza espositiva, il suo continuo aggiornamento, la grande conoscenza della storia e della spiritualità di Israele. Mai visto don Antonini prendersi un giorno libero o una settimana di ferie. Il suo riposo era partire con un gruppo in Terrasanta. Poteva farlo anche tre, quattro volte l’anno. Ha formato intere generazioni alla conoscenza e all’amore di quei luoghi.
In effetti a don Antonini piaceva viaggiare. Ma mai i suoi viaggi si limitavano a quel che si direbbe viaggio di piacere. Andava in Africa a visitare missioni per capire cosa fare in Parrocchia per aiutarle. E tornato nacque la Fiera del Libro. In America del Sud andò su invito di Monsignor Giovanni Tonucci, che lì era Nunzio Apostolico, dopo essere stato prete collaboratore a Santa Paola Romana durante gli studi diplomatici. E tornato si organizzarono raccolte di fondi. Don Antonini era uomo generoso e pratico.
Da tipico parrocone romano amava ripetere questa espressione: “Il compito del Parroco è dar da fare, far fare e lasciar fare“. Motto al quale si atteneva scrupolosamente. Don Antonini era uno di quelli che di fronte alle novità non si scomponeva, tanto passano presto. Uno di quelli che obbediva ai superiori, ma interpretando al bisogno. Per esempio, in Parrocchia non sentiva il bisogno del Consiglio Pastorale Parrocchiale, che infatti non c’era, nonostante le disposizione del Vicario. “Ma se incontro la gente tutti i giorni e scambiamo con i parrocchiani le nostre impressioni, a che mi servirebbe fare un’altra riunione!“, diceva convinto e sorridente.
Ecco, le riunioni. Una delle cose che più ha segnato i preti della mia generazione: il moltiplicarsi delle riunioni. Girava un piccolo aforisma, di quei tempi, e cioè che se il Signore fosse tornato sulla terra avrebbe trovato la Chiesa non riunita, ma in riunione. E don Antonini, eletto non so più quante volte Prefetto della zona, era ormai saturo delle riunioni e non ne faceva mistero ai superiori.
Non avevamo convergenza su tutti i temi, ma da ogni confronto con lui, abbonato a Civiltà Cattolica, Osservatore Romano e Avvenire che divorava sistematicamente, uscivo arricchito di nuove conoscenze. Di lui mi mancano molto la capacità di sdrammatizzare anche le situazioni in apparenza più intricate, l’attenzione discreta e raffinata ai bisogni delle persone e il dono del consiglio sempre lucido e puntuale.