Proteggere i più piccoli
Articolo scritto per il Bollettino della Postulazione delle Figlie della Chiesa
Judith Barsi era una grande attrice già a 5 anni, aveva interpretato 70 spot commerciali e aveva ricoperto ruoli in decine di sit com e nel film “Lo squalo 4”. A soli 10 anni viene uccisa dal padre, violento e alcolizzato, dopo aver subito una vita di soprusi psicologici e fisici, più volte denunciati alle autorità.
Antonio (nome di fantasia) aveva iniziato a manifestare i primi segni del suo disturbo psichiatrico in adolescenza, ma nonostante tutto era riuscito a studiare e a coronare il suo sogno: entrare in seminario per diventare prete. Dopo un paio di anni la malattia si aggrava ed è costretto a lasciare la formazione. Il padre spirituale del seminario lo indirizza ad un sacerdote che avrebbe dovuto seguirlo dall’esterno. Questi lo ospita nel suo convento per un ritiro e nottetempo violenta Antonio, il quale subisce uno shock tanto grave da segnarne la vita successiva. La denuncia del fatto al padre spirituale del seminario non ebbe nessun seguito, se non quello di una ulteriore emarginazione di Antonio.
Sono solo due dei molteplici casi di abusi e violenze che abbiamo sentito raccontare negli ultimi anni. Diversi sotto numerosi aspetti, uguali nel dolore per una umanità ferita, martoriata, calpestata.
È però tutto questo dolore ad aver trovato – infine – ascolto, accoglienza, rivolta nell’animo di Papa Francesco, che lo scorso 26 marzo ha reso pubblico il Motu Proprio Sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili. Nello stesso giorno è sempre Papa Francesco a promulgare in Vaticano la legge N. CCXCVII, con lo stesso tema, dove all’art. 1 si chiarisce che al “minore” è equiparata la “persona vulnerabile”, cioè “ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa”.
Oggi, quindi, grazie a Papa Francesco sappiamo che non solo i bambini e i fanciulli – come Judith – devono essere protetti, ma anche gli adulti – come Antonio – che a causa del loro male sono particolarmente vulnerabili devono essere considerati i piccoli e indifesi di cui prendersi cura.
Vorrei mettere in risalto due cose che in futuro dovranno entrare sempre più nel bagaglio ecclesiale delle nostre comunità cristiane.
Uno: le vittime, quando accertate, godono di attenzioni prioritarie. È vero, la Chiesa non abbandona nessuno, nemmeno i colpevoli; anzi, fedele al mandato del Salvatore di “visitare i carcerati” continua a proporre una costante umanizzazione dell’azione penale della società umana. Al tempo stesso la Chiesa è consapevole che non vi può essere pace senza una nuova giustizia (Paolo VI, Messaggio per la VI Giornata della Pace 1973) e questa non può prescindere dall’ascolto del grido delle vittime. La Chiesa è però anche consapevole che non c’è giustizia senza perdono (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXXV Giornata della Pace 2002) e questo impone un grande coraggio nel percorrere strade di penitenza e di riconciliazione insieme alle vittime e ai colpevoli.
Due: si devono compiere azioni concrete, concretissime. In Paradiso non si va (solo) per la retta intenzione ma (soprattutto) per le opere, OPERE, buone. Il Papa nel suo Motu Proprio ne elenca alcune in favore di minori e persone vulnerabili: mantenere una comunità rispettosa dei minori e delle persone vulnerabili; maturare la consapevolezza del dovere di segnalare gli abusi; riconoscere il diritto di tutti ad essere ascoltati e offrire una cura pastorale adeguata alle vittime e ai loro familiari; garantire giudizi equi e imparziali dei presunti colpevoli; offrire una formazione adeguata sulla tutela dei minori e delle persone vulnerabili.
Il Papa non dimentica nemmeno di considerare un’ipotesi tutt’altro che remota, quella che deve spingere a fare tutto il possibile per riabilitare la buona fama di chi sia stato accusato ingiustamente. Perché anche chi è stato accusato ingiustamente è un piccolo da proteggere in modo speciale dalla comunità dei credenti. La Chiesa del terzo millennio cristiano si trova così davanti a un compito gigante che implica la trasformazione radicale della mentalità, nella quale la priorità dell’azione pastorale dovrà essere attribuita alle vittime, ai piccoli, agli indifesi, a quanti cioè le vicende della vita hanno portato più vicini all’immagine del Cristo sofferente.