Quel che credi e l’immagine di Dio

Francesco Cosentino nelle 163 pagine di Non è quel che credi. Liberarsi delle false immagini di Dio (EDB 2019) percorre in fondo un terreno neoiconoclasta. Abbracciando le tesi di Newman, nel quale individua il propugnatore di una “vera e propria teoria dell’immaginazione religiosa” (49) Cosentino sostiene che “fare pace con Dio, liberandosi delle immagini distorte di lui, è una delle più grandi avventure spirituali dei nostri giorni“, anzi “una delle poche possibilità che abbiamo per aprirci a una vera relazione con il Signore” (55).

L’opera di Cosentino si può considerare quindi un testo di spiritualità? In senso lato, potrebbe. Il carattere psicologista e introversivo di alcune pagine richiama per certi versi lo stile dell’Imitazione di Cristo, ma senza la visione antropologica e moralistica e il ripiegamento intimistico del monaco autore del testo tanto caro a Enzo Bianchi. Le intuizioni sul potere purificato e purificante dell’immaginazione si possono rifare alla tradizione degli Esercizi Spirituali, ma senza il percorso del discernimento fino all’abbraccio della volontà di Dio che Ignazio di Loyola aveva pensato come finalità della sua proposta. L’enciclopedismo delle citazioni accanto al tono volutamente semplice e “popolare” richiama le opere di Alfonso Maria de’ Liguori, ma senza il carattere fortemente “esortativo” e pratico di queste ultime.

In realtà nel lavoro del professore della Gregoriana c’è qualcosa che va oltre, c’è la reinterpretazione del ruolo stesso della spiritualità moderna.

La battaglia spirituale di oggi si è spostata dalle idee all’immaginazione, dai concetti alle visioni interiori, dalle proposizioni alla sensibilità.

(56)

Sul ruolo svolto dalla sensibilità interiore nella sua declinazione effettiva delle emozioni all’interno della comunicazione e dei processi cognitivi dei tempi attuali mi sono espresso in diverse occasioni (vedi articoli correlati), ritenendo di poter identificare l’epoca contemporanea come quella dell’emozionismo (e non escludendo che si sia aperta anche una nuova branca degli studi sacri, quella della teologia emozionale).  In questo senso l’opera di Cosentino non si discosta dalla “sensibilità” dei contemporanei: l’immagine vincente di Dio sarà sempre quella destinata a coinvolgere l’essere umano non solo a livello intellettuale ma soprattutto a livello emozionale. Che sia negativo o che sia positivo.

Così Cosentino nella pars detruens del suo libro individua quelle immagini negative di Dio che suggeriscono emozioni negative: il Dio tappabuchi, il Dio giudice che castiga, il Dio contabile e legalista, il Dio del sacrificio, il Dio dell’efficienza. Si tratta – come osserva l’Autore – di immagini per nulla desuete “che hanno finito per sostituire il Dio vivente, non senza ricadute psichiche e spirituali” (68). Da tali immagini occorre liberarsi.

L’inquieto viaggio di liberazione si compie attraverso la rivelazione che Gesù ha fatto di Dio e la stessa Scrittura, che Cosentino invita a riprendere tra le mani (tornare alla Parola) con una lettura attenta, al riparo dell’errore di “leggere alcuni versetti scollegandoli dalla totalità, dal mistero della redenzione che è centrale e si realizza in Gesù” (107). La pars costruens dell’opera di Cosentino apre la strada alle immagini di Dio che fanno bene all’anima: Dio creatore, Dio pastore, Dio padre e madre. Ma permette di incontrare anche immagini che ci parlano bene di Dio: il roveto ardente, il tempio di Dio, la sorgente.

Ma in fin fine l’Autore è tutt’altro che convinto che la via affirmationis sia sufficiente per approcciare Dio. Di Dio si può dire tanto ma egli resta sempre al di là di tutto, addirittura si nasconde, più facilmente riesce ad avvicinarvisi una teologia apofatica: “Dio sta sempre oltre. È più grande delle nostre idee e delle nostre rappresentazioni… Di lui possiamo sempre parlare, ma, ancor più, dobbiamo tacere… Si può trovare la sua presenza solo nell’assenza. In definitiva: nessuna immagine di Dio corrisponde a lui” (19).

Eppure le parabole evangeliche sembrano aver raggiunto lo scopo. Gesù “spiega” Dio con esempi: “attraverso le parole, i gesti e il comportamento di Gesù noi scopriamo il vero volto di Dio” (144). Nella parabola dei talenti “Gesù trasforma l’immagine di un Dio controllore che incute paura” (145). Nella parabola del grano e della zizzania “Gesù trasforma l’immagine di un Dio perfezionista” (148). Nella parabola dell’amministratore scaltro “Gesù trasforma l’immagine di un Dio dei sensi di colpa” (150). La parabola del padre misericordioso, infine, è figura meravigliosa della rivoluzione di Cristo che spiazza tutti (154-155).

Un libro così tecnico parla proprio a tutti? In realtà no. Gli uomini «adulti», maggiorenni e responsabili descritti a pagina 25 che non hanno bisogno di Dio per interpretare la realtà forse non lo aprirebbero. Addirittura si potrebbe “prendere in considerazione la possibilità… che il Dio che immaginiamo… non sia il Dio annunciato da Gesù Cristo“; e quindi che, tutto sommato, l’ateismo non sia altro che “liberazione da un Dio creato dalle religioni, che poco corrisponde al respiro di libertà della vera identità divina” (26-27). Perciò forse nemmeno gli atei, tali “per amor di Dio“, aprirebbero questo libro. Con alcuni di loro l’Autore (ma anche il sottoscritto…) si trova d’accordo; si leggano in proposito le bellissime pagine 158-160 che presentano sei aspetti insopportabili e soffocanti di un Dio che gli atei rifiutano e si concludono con le parole: “Sono d’accordo su questo e su altre cose. Ma il problema vero, il punto di debolezza estrema di ogni visione atea della vita e di molti non credenti, è che questo Dio non esiste! È un idolo perverso inventato dall’uomo“.

Cosentino è onesto fino in fondo e arriva ad ammettere che “questo idolo è stato generato… da una religiosità che ha deformato il vero volto di Dio e si è allontanata dal vangelo” (160). Come fare a non richiamare alla mente le parole straordinarie del Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes?

Nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.

(Gaudium et spes, 19)

Di sicuro per affrontare la lettura di Non è quel che credi occorrono due prerequisiti: se non proprio la conoscenza, almeno una certa benevolenza verso il fenomeno religioso cristiano; e la capacità di una forte astrazione. Il primo requisito è richiesto per l’oggetto stesso della fatica: ignorando completamente l’argomento o avversandolo in partenza non si potrà ricavare dalla lettura del testo tutta la ricchezza che vi è contenuta. Il secondo requisito deriva dall’impostazione didascalica che Cosentino ha impresso al libro. L’autore ha preferito non intraprendere lo stesso percorso seguito da Pierre Riches che in Note di catechismo per ignoranti colti (1982) si rivolgeva con simpatia in un linguaggio ordinario a persone ignoranti nella fede pur essendo colte nella vita. Nemmeno ha scelto la strada impervia del linguaggio evocativo e coinvolgente della teologia narrativa di Leonardo Boff come appare ne I sacramenti della vita (1985). Cosentino “illustra” le immagini di Dio, “interpreta” al meglio metafore ed emozioni e chiede al lettore di “comprenderle”, ponendolo di fronte ad una scelta che assume un valore razionale ed esistenziale, prima ancora che etico e spirituale.

Bisogna essere pronti a non contentarsi di una sola lettura.

Nel testo troviamo una soluzione definitiva o almeno risolutiva? Anche qui direi di no. Nel poderoso sforzo di convincere che l’immagine di Dio abbracciata da molti di noi è spesso frutto di valutazioni ed emozioni errate Cosentino ha – penso volutamente – trascurato due aspetti non proprio marginali nell’insieme della rivelazione cristiana.

Anzitutto si avverte l’assenza della figura e dell’opera dello Spirito Santo: Dio viene mostrato come Padre, Gesù come suo rivelatore. E lo Spirito Santo? A parte qualche occasionale riferimento (per esempio a pagina 21; o quando si annuncia “uno Spirito nuovo, portato dal Messia” a pagina 119, Spirito che abita in noi come in un tempio a pagina 120 e che in noi è sorgente di acqua viva a pagina 124; oppure citando Rahner a pagina 136 e citando Green a pagina 150), si manifesta l’esigenza di avere una presentazione dello Spirito altrettanto forte quanto quella di Dio (Padre) e di Gesù. Infatti affermare “io credo solo nel Dio di Gesù Cristo” (163) è corretto e sensato nella misura in cui Gesù Cristo ha rivelato l’identità trinitaria di questo Dio con tre immagini molto reali, quella del Padre, quella del Figlio e quella dello Spirito Santo.

L’espressione della fede in Dio, poi, è certamente esperienza personale di ogni credente, sul quale agiscono emozioni ed esperienze pregresse che modificano in meglio o in peggio l’immagine stessa di Dio. Al tempo stesso però è questione che coinvolge l’insieme della moltitudine dei credenti, cioè la comunità cristiana, la Chiesa nel suo significato più proprio. In definitiva non esiste immagine di Dio più appropriata di quella che la Chiesa stessa è stata incaricata di rivelare. Concentrandosi sugli aspetti più “psicologici” della formazione dell’immagine di Dio nell’individuo, come fa Cosentino, almeno in apparenza sembrano passare in secondo piano ruolo e azione della comunità cristiana. Se al momento di professare la fede ciascun credente è invitato a rispondere al singolare (“credo“) è altrettanto vero che la domanda viene posta al plurale (“credete in Dio?“).

Sulla formazione dell’immagine di Dio nel credente – a livello psicologico, esistenziale, spirituale… – non sono trascurabili né il ruolo dello Spirito Santo né il ruolo della Chiesa. Tutto ciò merita sicuramente un approfondimento.

Consiglierei la lettura dell’opera di Cosentino? Certamente sì. Penso sia fortemente necessario, soprattutto in tempi di chiesa debole, che sia avviata una riflessione ad ogni livello della comunità ecclesiale, dagli studenti di teologia delle Pontificie fino ai genitori dei battezzandi di domenica prossima nelle Parrocchie, per verificare l’immagine del Dio in cui si crede, per liberarsi delle false immagini di Dio, per convertirsi al Dio di Gesù Cristo. Non è quel che credi è un buon inizio.