Rapporto statistico sul clero romano 2018

Benvenute e benvenuti nel portale del Rapporto statistico 2018 sul clero diocesano di Roma – elaborato su dati del Vicariato di Roma

Rapporto

latest version: 1.0.0 |
rapporto_statistico_clero_romano_1812-1.0.0.pdf
 
Sintesi dei contenuti
Versioni
1.0.0
2019-06-30 |

Presentazione del Rapporto statistico sul clero diocesano di Roma 2018

Il Rapporto statistico sul clero diocesano di Roma 2018 conferma in larga parte la bontà della metodologia seguita nel Rapporto precedente. Rispetto al 2017 il presente Rapporto può contare su una certa maturità dei dati aggregati, sull’aggiornamento del sito della Diocesi effettuato dai gestori, sull’individuazione di obiettivi meno generici e vasti. Il risultato consiste in un lavoro più centrato, più asciutto e più maneggevole.

Le osservazioni principali da proporre riguardano in parte i contenuti e in parte la loro interpretazione, indispensabile ai numeri per ottenere una solida impalcatura logica in grado di leggere correttamente il dato socio-ecclesiale contemporaneo.

I contenuti

I contenuti rispecchiano la fotografia del clero diocesano di Roma non così come esso è, ma così come esso viene mostrato ufficialmente attraverso il sito della Diocesi. Ciò impedisce di raccontare la storia dei ministri ordinati operanti nella Diocesi, presi nella loro umanità e nel loro valore di servizio ecclesiale. Non consente nemmeno la narrazione del processo in atto presso la Chiesa di Roma, di profonda revisione e di profondo aggiornamento di metodi e obiettivi pastorali. Ancor meno permette di volgere lo sguardo al futuro per valutare il risultato delle azioni intraprese e il destino della popolazione del clero romano. Il tentativo di stimare l’andamento del clero diocesano di Roma per il prossimo settennio deve essere assunto con tutte le cautele del caso.

C’è da chiedersi, quindi, dove sia l’utilità di tale Rapporto. Esso si concentra su quattro tematiche fondamentali: l’anagrafica, i flussi in ingresso e in uscita e le attività pastorali dei presbiteri, da una parte, e il tema dei diaconi permanenti dall’altra. Quest’ultimo tema meriterebbe di essere sviluppato oltre lo spazio dedicatogli dal Rapporto. Non è un caso che in tempi recenti si moltiplichino ricerche e appuntamenti in varie Diocesi d’Italia per approfondire i contorni di un ministero non ancora del tutto ben compreso.

Le tematiche del Rapporto per certi aspetti si ricollegano idealmente al lavoro realizzato da don Nicolino Barra, con le sue Riflessioni sul Clero Romano a partire dal giugno 1969. In esse don Nicolino giungeva a tre immediate valutazioni: a) “l’età media del clero romano è spostata in alto“; b) “il numero dei sacerdoti romani tende a diminuire in cifre assolute“; c) “in cifre relative la diminuzione del clero romano appare ancor più rilevante“. Inoltre aggiungeva alcune “osservazioni sulla consistenza numerica del clero romano” composto da “molti sacerdoti non romani” con funzioni di parroco e da circa il 25% di “sacerdoti non impegnati nella vita diocesana“. Infine imponeva la conclusione:

Val solo la pena di dire che riteniamo “il clero di Roma” un fatto assolutamente di nostra competenza, di tutti i cristiani della diocesi. Fatto da conoscere, da esaminare e sul quale maturare prospettive per il futuro.

A distanza di 50 anni ritengo che le parole di don Nicolino non abbiano perso nulla del loro valore.

Il dato socio-ecclesiale contemporaneo

L’assenza di un articolato studio sulla storia del clero di Roma, almeno quella recente, si evidenzia nella frantumazione della memoria avvertita soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione cristiana della Diocesi1. La questione del clero diocesano, infatti, si lega a filo doppio con le questioni sociali ed ecclesiali locali.

Ai tempi in cui scrive don Nicolino Roma era una città in forte espansione urbanistica2 e demografica, con alti livelli di immigrazione da varie provincie italiane, mentre a livello nazionale, superato il periodo del boom economico, una classe politica poco lungimirante affrontava la recessione sfociata nell’autunno caldo del 1969.

A distanza giusto di 50 anni insiste qualche analogia politica ed economica. Ma a livello sociale il tempo di don Nicolino e quello odierno si differenziano per un dato fondamentale: Roma oggi è investita dalla paralisi edilizia, vuoi per mancanza di domanda e di liquidità, vuoi per la tendenza all’esaurimento degli spazi edificabili, ma ancor più – in buona compagnia con il resto dell’Italia –  è attraversata dalla stagnazione demografica.

Il confronto dei principali indicatori demografici della città di Roma testimonia sì un modesto aumento della popolazione di circa 100.000 unità negli ultimi dieci anni, ma anche la diminuzione della natalità e l’aumento delle fasce più anziane della popolazione, insieme all’aumento dell’indice di dipendenza strutturale, segno che nella popolazione si è ridotto il numero delle persone attive (website · mirror pdf). A livello nazionale nel 2018 l’Istat ha certificato che “la fase di calo della natalità innescata dalla crisi avviatasi nel 2008 sembra aver assunto caratteristiche strutturali” (website · mirror pdf). Ciò influenza profondamente sia il futuro sociale che quello ecclesiale, per un periodo di tempo non quantificabile ma estremamente lungo, con ricadute su più generazioni e sugli stessi progetti pastorali.

Il fenomeno dell’immigrazione fa registrare il passaggio dei cittadini di nazionalità non italiana residenti a Roma dal 6% dell’anno 2000 al 13,4% dell’anno 2017 sul totale della popolazione residente (pdf, p. 5). Se si confronta il dato con la percentuale dei sacerdoti del clero di Roma di nazionalità non italiana nel 2018, pari al 21,7% del totale dei preti, ci si rende conto che la composizione del clero diocesano di Roma potrebbe non rispecchiare quella della popolazione romana. Tuttavia la valutazione cambia se si considera che il 44,4% dei sacerdoti di nazionalità non italiana del clero romano opera fuori Diocesi, cioè non risiede fisicamente a Roma. Ciò porta il totale dei sacerdoti di nazionalità non italiana del clero romano residenti a Roma al 12,1% del totale dei preti, praticamente in linea con la percentuale globale dei cittadini di nazionalità non italiana residenti a Roma (di cui peraltro sono parte).

Ancora più curiosamente le nazionalità dell’immigrazione romana (cfr pdf, pp. 8-9) non coincidono perfettamente con le nazionalità del clero diocesano di Roma. Romania, Filippine, Bangladesh, Cina, Ucraina sono le prime cinque nazionalità di immigrati presenti a Roma; Spagna, Filippine, Cile, Colombia, India sono le prime cinque nazionalità di preti del clero diocesano di Roma di nazionalità non italiana.

In assenza di dati “demografici” e “pastorali” ufficiali della Diocesi di Roma3 è semplicemente impossibile rappresentare seppur per sommi capi la situazione odierna della Chiesa di Dio che è in Roma. L’auspicabile e programmato ascolto della Città nel periodo aprile-giugno 2019 parte dal sottinteso che la Città di Roma coincida più o meno con la Chiesa di Roma; però non solo i contorni del soggetto ecclesiale appaiono sfumati e indefiniti così che si rischia di non identificare più bene chi sia esattamente il soggetto che deve porsi in ascolto (tanto da richiamare alla mente interrogativi noti: “Chiesa di Roma, chi sei tu? Cosa dici di te stessa?“), ma si rischia persino di vanificare l’offerta di una visione antropologica e religiosa che pure la Chiesa pretende di possedere.

L’interpretazione

Dal punto di vista religioso, per esempio, la Chiesa di Roma si potrebbe interrogare sul perché, nonostante la presenza capillare e quasi pervasiva dell’istituzione, la sua influenza spirituale e pastorale sulla popolazione sia chiaramente in difficoltà.

Il segno di tale difficoltà va forse ricercato nella condizione del clero diocesano di Roma? La risposta a questa domanda apre lo spazio dell’interpretazione dei dati e suscita nuove domande. Come mai, nonostante il moltiplicarsi degli sforzi vocazionali, bisogna prendere atto di trovarsi in presenza di prospettive non favorevoli quali quelle che risultano, per esempio, dalla stima 2019-2025? Se le vocazioni dipendono tutte dalla libera volontà di Dio, e forse da una preghiera insistente, come suggerito da Gesù, probabilmente occorre chiedersi anche perché la libera volontà di Dio non stia dando ascolto alla preghiera insistente.

A queste domande può aggiungersi la domanda di don Barra, quella vera, che non verrà mai posta, come dice lui: “perché il rapporto sacerdoti/fedeli è cresciuto? cosa non funziona nella comunità che dopo due millenni non esprime più i suoi preti?” (website). Don Nicolino offre una sua interpretazione personale, valida sicuramente all’epoca, come risposta ai vari interrogativi che via via si pone.

Il prete è concepito come addetto al servizio della parrocchia e di quanti si rivolgono ad essa: è l’uomo-culto. Il clero viene alloggiato nell’edificio parrocchiale perché possa essere disponibile 24 ore su 24 e con evidenti semplificazioni logistiche che permetteranno anche di trascurare per lungo tempo i problemi finanziari personali dei sacerdoti. Viene imposta una forma di vita “comunitaria” che lega tra loro e all’edificio i sacerdoti della parrocchia. Le possibilità di una vita personale, di una “privacy” diremmo oggi, decadono; un reale rapporto con la città e le sue esperienze culturali si fa difficile e viene esplicitamente ostacolato, proibito…

Da parte sua il lavoro nelle parrocchie si impoverisce sempre più: diventa ripetizione continua di azioni sacramentali…, lavoro di archivio (l’ufficio parrocchiale), assistenza ai ragazzi…

Cominciano a scarseggiare i preti, ma solo si ripetono da parte dell’Opera delle vocazioni Ecclesiastiche gli inviti alla preghiera… Roma diventa luogo di Missione… Roma avrà 15 viceparroci cinesi, e un numero imprecisato di spagnoli, maltesi, indiani, ecc.

Certamente l’internazionalizzazione del clero deve essere vista come un fenomeno positivo, di arricchimento umano e culturale. Sarebbe disastroso, invece, se fosse considerata la soluzione alle questioni di scarsità di clero. Una sorta di ripostiglio magico dal quale, all’occorrenza, fuoriescono i ministri del culto necessari ai bisogni del popolo di Dio. Con buona pace di tutta la riflessione conciliare e la prassi post conciliare sulla distribuzione del clero nel mondo.

In realtà la lettura disincantata dei dati del Rapporto 2018 suggerisce di riflettere intorno a tre gruppi di argomenti.

  1. Tutti sono più o meno convinti della stretta relazione ed interdipendenza tra vita sociale e pastorale ordinaria nella Chiesa locale. Tale convinzione deve toccare sempre più da vicino anche il tema delle vocazioni. In altri termini un prete diocesano, per non trasformarsi in un burocrate del culto, non può essere che il frutto della vita di una certa comunità diocesana, una Chiesa inserita in una Città, un contesto religioso inserito in un tessuto locale. Accanto a tale convinzione pare anche necessario esplorare e rivalutare l’aspetto secolare dell’identità del sacerdote diocesano, troppo prematuramente archiviato come insufficiente o addirittura controproducente per la realizzazione del ministero sacro. Sembra plausibile che quanto meno il sacerdote diocesano è integrato nella contemporaneità del suo contesto sociale di riferimento, tanto meno la sua opera religiosa appare incisiva e credibile. Inoltre, mentre la fraternità presbiterale dell’unico presbiterio ricopre un valore teologico e spirituale di primaria importanza per la vita di una Diocesi, non si deve dimenticare che essa rischierebbe di favorire la formazione di un club, di alimentare uno spirito settario qualora i presbiteri col loro servizio non fossero radicati nelle rispettive comunità di riferimento.
  2. La mancata risposta della volontà di Dio alla pressante preghiera per le vocazioni nonché a tutte le attività poste in essere per farle riconoscere ai potenziali candidati potrebbe essere considerata da alcuni come un monito verso il perdurare tra il clero di comportamenti contrari alla testimonianza cristiana. Ma tale interpretazione appare oltremodo riduttiva, in quanto a Dio non mancano gli strumenti per santificare le persone e scegliere candidati all’ordine sacro dall’animo più nobile. Appare invece molto più convincente che la contrazione delle vocazioni vada nella direzione di una completa rivisitazione del modello di esercizio del sacerdozio nel terzo millennio cristiano. In buona sostanza tale modello implica non solo il maggiore coinvolgimento del laicato nelle responsabilità comunitarie, ma soprattutto una più fine capacità di collaborazione tra sacerdoti e laici, con una più acuta distinzione dei relativi carismi ecclesiali.
  3. Parlando di responsabilità comunitarie, si deve proporre tra le prime quella dei loro preti, dei loro pastori. Le comunità cristiane dovrebbero imparare a selezionare, educare e presentare i candidati all’ordine sacro che presteranno servizio nella loro Chiesa, invece di trovarseli semplicemente belli e scodellati da un seminario di una qualsiasi regione del mondo. Dovrebbero anche imparare a soffrire per la penuria del clero e a organizzarsi di conseguenza, come è avvenuto e avviene in varie parti del mondo, piuttosto che lamentarsene, cercarne qualcuno impacchettato alle bisogna o oberare di superlavoro, spesso nemmeno pertinente al ministero ordinato, i pochi sacerdoti a disposizione.

Naturalmente non si può chiedere ad uno studio statistico, con tutte le sue approssimazioni e tutti i suoi errori, di offrire soluzioni. Le limitazioni tuttavia non inficiano la bontà del lavoro, che può rivelare tutta la sua utilità nella misura in cui favorisce un clima di riflessione comune e il rinnovamento delle prassi in vista dell’adeguamento del lavoro pastorale alle mutate esigenze umane e sociali del terzo millennio cristiano.

 


1 Il Programma Pastorale della Diocesi di Roma 2018-2019 è partito esattamente dal fare memoria (qui), tema molto caro al Vescovo Paolo Selvadagi, che ne ha curato la sintesi storica di presentazione. Un primo frutto di questa domanda di memoria è stato colto anche dal mio blog con l’iniziativa di ricordare i sacerdoti defunti del clero diocesano di Roma, documentandone, per quanto possibile, la loro storia (qui).

2 Allo sviluppo urbanistico fa cenno don Barra: “a Roma si comincia a verificare un fatto che assume proporzioni sempre maggiori, e che non si arresta: l’espansione urbanistica. Essa segna l’inizio di un profondo rinnovamento della struttura cittadina ed impone nelle cose una situazione pastorale veramente nuova” (website).

3 Nella pagina del sito della CEI relativa alla Diocesi di Roma, peraltro non completamente aggiornata, compaiono solo statistiche relative al patrimonio: inventario dei beni ecclesiastici e fondi dell’8×1000 (website · mirror pdf).