Revisione della guida della chiesa di Roma
Mentre ribadisco la necessità e l’urgenza di pensare a «una conversione del papato», volentieri ripeto le parole del mio predecessore il Papa Giovanni Paolo II: «Quale Vescovo di Roma so bene […] che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova»
Papa Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi
L’idea di un diverso esercizio del primato petrino appartiene tanto a Papa Francesco quanto a San Giovanni Paolo II.
Ma se si intende seriamente prendere in considerazione l’ipotesi, intanto ritengo che si debba cominciare dalle basi, da quell’essere vescovo di Roma che caratterizza la successione di Pietro. È giusto che il Papa abbracci l’umanità, non potrebbe farlo senza la sua diocesi.
Papa Francesco ci sta abituando ad un nuovo rapporto con la sua chiesa locale. San Giovanni Paolo II ha inaugurato una stagione di visite delle comunità parrocchiali che ha rinnovato le relazioni tra vescovo e fedeli. Ora Papa Francesco sembra intenzionato a premere più forte sul pedale acceleratore dell’intervento del Papa nell’assistenza caritativa alla città.
Due osservazioni. La prima. L’ultimo vescovo di Roma romano fu Pio XII, l’ultimo Cardinal Vicario romano fu Marchetti Selvaggiani. Non si deve necessariamente essere originari di una chiesa per guidarla. Ma non se ne possono ignorare completamente storia recente, dinamiche, attività, necessità. Se nemmeno si può contare su collaboratori inseriti proficuamente nel tessuto locale si rischia di essere servi onorifici, non sapendo esattamente in cosa servire.
La seconda. L’ultimo vescovo di Roma ad abitare in episcopio (presso la Cattedrale S. Giovanni) fu Benedetto XI (1303-1304); dopo di lui, prevalendo interessi politici e visioni trionfalistiche, la residenza fu spostata quando all’estero, quando in palazzi nobiliari romani, fino all’attuale S. Pietro in Vaticano. Di certo è stata una svolta epocale la scelta di Papa Francesco di alloggiare a S. Marta. Pur sempre in Vaticano. Sono sicuro che altrettanto epocale sarà la scelta del Successore di Pietro di tornare a vivere nel luogo che rappresenta il cuore della sua diocesi; scelta tutt’altro che trascurabile anche per il suo enorme valore simbolico, oltre che per l’indiscutibile valore teologico.
La “conversione del papato”, il rinnovo dell’esercizio del primato petrino, la “decentralizzazione” delle strutture gerarchiche passano principalmente attraverso la revisione delle modalità della guida della chiesa di Roma.