Ricostruite la mia casa
Esercizi Spirituali – Figlie della Chiesa, Domus Aurea, Ponte Galeria (RM)
Omelia della memoria dei Santi Martiri Cosma e Damiano
Aggeo è un altro dei profeti che Dio suscita per incoraggiare il popolo di Israele a intraprendere l’opera di ricostruzione della Città santa e del Tempio. La prima lettura, parola di Dio che ci accoglie in questa liturgia, testimonia la devozione di Dio per la sua “casa”, luogo della sua presenza tra gli uomini, nel suo popolo.
Il profeta deve vincere lo scetticismo degli uomini, il loro senso di impotenza e frustrazione. Ma anche il convincimento che l’attesa della liberazione debba durare il “tempo” predetto da Geremia, settant’anni.
Invece questo profeta mostra che Dio sa anche accorciare i tempi. Cosa abbia spinto Dio al ripensamento rispetto alla profezia di Geremia non è dato saperlo. Geremia forse si era sbagliato sui numeri? Non sembrerebbe. Egli ripete con insistenza che il popolo avrebbe dimorato in terra straniera per lunghi settant’anni prima che Dio lo visitasse per liberarlo. Ha detto una bugia? E perché avrebbe dovuto? Non aveva tralasciato nessuna parola da parte del Signore, con totale fedeltà, perché mentire su quello che appariva un particolare trascurabile?
Resta in piedi solo l’ipotesi iniziale: Dio accorcia i tempi. Il popolo geme sotto il “giogo” dell’avversario. Geme e freme. Ma anche Dio freme. Sembra aver fretta. Lo scopo che si era prefissato lasciando che Giuda seguisse il suo cuore era stato raggiunto. Giuda aveva imparato, a sue spese, che distanti da Dio si sta male, si soffre; aveva perduto la guida (il re e i capi), aveva perduto la possibilità di santificarsi e pregare (i sacerdoti). Era tornato al primo amore, quello del fidanzamento nel deserto, la Torah. In Babilonia si sviluppa un nuovo modo di pregare, ascoltare, commentare il Libro. Dio parla di nuovo al cuore di Israele, nel deserto dell’esilio.
Non ci spaventi il nostro esilio. Ogni qualvolta ci sentiamo abbandonati dal Signore, distanti dalla nostra patria, in balìa di avversari più potenti e numerosi, torniamo al primo amore, torniamo al nostro fidanzamento nel deserto. Dio apra le nostre labbra perché gli diamo gloria in mezzo agli uomini tra i quali siamo stati dispersi.
Il popolo geme e freme in attesa della liberazione. Ma anche Dio freme. Vuole che questo nuovo popolo, maturato dall’esperienza della lontananza, una generazione intera nata e cresciuta senza conoscere la terra santa, rinnovato nel culto e nell’adesione a lui, torni in possesso dei suoi tesori di grazia. Aggeo si rivolge non agli esiliati, ma a quei pochi che erano rimasti a Gerusalemme, figli degli zoppi e dei ciechi che non erano stati deportati. A loro annuncia la volontà del Signore: “Ricostruite la mia casa”.
Alle orecchie di quella gente la “casa” di Dio non poteva che essere il suo Tempio in rovina, la Città santa abbattuta. Sembra quasi che Dio abbia fretta di tornare ad essere accessibile tra gli uomini; nella sua casa egli si compiacerà e mostrerà la sua gloria. Ma Dio ha anche fretta di predisporre un luogo accogliente e ospitale per quanti tra non molto torneranno da Babilonia. L’impresa, umanamente, è eccezionale. I pochi rimasti hanno poche forze e poche ricchezze. Per questo tutti i loro dubbi.
Una sola parola può convincerli all’azione: “Io sono con voi”. Dio è con noi: l’Emmanuele biblico che guarda lontano, verso il Messia, è pronto a sopperire alle insufficienze del popolo. Dio è sempre con chiunque decida nel suo animo di “ricostruire la sua casa”. Non ci abbandonerà, se anche noi accetteremo coraggiosamente. Quando Dio è con noi non vi sono ostacoli. Non vi sono difficoltà che tengano. Non vi sono povertà. “Ricostruite la mia casa, io sono con voi”.
Però sappiamo anche che il Messia ha visto la casa-Tempio di Gerusalemme e vi ha pianto sopra. Il Tempio di mura sarà definitivamente distrutto, perché un nuovo tempio sta sorgendo all’orizzonte. Gesù anticiperà questa rifondazione con una profezia su di lui: il suo Corpo, il Corpo del Signore, il Corpus Domini, dovrà essere distrutto per risorgere il terzo giorno. La risurrezione inaugura l’edificazione dell’ultimo Tempio, quello della Chiesa. Un’edificio umano riempito dello Spirito di Dio.
Ogni generazione, anche la nostra, guarderà questo ultimo Tempio e vi troverà i segni dell’umanità in esilio, a volte abbrutita e dimentica di Dio. Vi scorgerà anche la necessità di eseguire lavori di manutenzione e di ammodernamento. Alle orecchie di ogni generazione, anche la nostra, giungono le parole di Aggeo con una vibrante attualità: “Ricostruisci la mia casa!”.
Siamo davvero chiamati per grazia di Dio a ricostruire la sua casa. Come i santi martiri Cosma e Damiano curavano e guarivano il corpo degli uomini, noi dobbiamo prenderci cura e guarire le ferite del Corpo di Cristo. La Chiesa, la dimora di Dio tra gli uomini, deve essere continuamente purificata e ricostruita. Per diventare accogliente, per poter permettere a Dio di compiacersi in lei e in lei di mostrare la sua gloria, per attendere che gli uomini e le donne dispersi nel mondo possano trovarvi ospitalità, aiuto e sostegno nel tempo favorevole.
Accogliere la chiamata a ricostruire la casa del Signore richiede come disposizioni interiori uno slancio di generosità unito ad una grande fiducia nella grazia di Dio; richiede la sapienza del cuore per abbandonare le vie sterili che hanno prodotto poco e abbracciare coraggiosamente nuove forme di presenza tra gli uomini, insieme allo sguardo prospettico orientato verso la Nuova Gerusalemme che scende dall’alto.
A Dio, che ama il suo popolo e incorona i poveri, cantiamo un canto nuovo per l’onore che ci ha concesso di poterlo lodare e servire. Amen.