Riflessioni sulla Quaresima
La mia riflessione sulla Quaresima è cominciata con alcuni messaggi arrivati via twitter da Caterina Doglio. Nei suoi tweet proponeva un notizia proveniente dagli USA
In Massachusetts se non hai modo di andare in chiesa oggi, @UgoQuinzi, I preti si fanno trovare alla stazione https://t.co/4ICTsvkYYC
— caterina doglio (@CaterinaDoglio) 1 marzo 2017
Quindi ho letto anche il bel pezzo di padre Francesco Occhetta sulle ceneri presentato così
Sacra è la cenere. La #quaresima dei cristiani. https://t.co/AkoNnqLUKb@enzobianchi7 @CeiSociale @gvgrandi @Chiarasmb @stearduini @civcatt pic.twitter.com/vP9Caydbmn
— Francesco Occhetta (@OcchettaF) 1 marzo 2017
Ci ha pensato poi padre Stefano a suggerire il sito web ashestogo.org
@CaterinaDoglio @UgoQuinzi
Non mi convince tantissimo ma non faccio testo.#ashestogo o #ashestakeawayhttps://t.co/kD1mfhyQgz— Padre Stefano SJ (@Agerusalemme) 1 marzo 2017
Insomma, tante suggestioni. Alle quali ho dato sfogo anzitutto con una battuta
@CaterinaDoglio Non è escluso che il prossimo anno proporrò in commercio un kit di ceneri-fai-da-te. Prevedo successone. ;) @Agerusalemme pic.twitter.com/8BQHfOFQRk
— Ugo Quinzi (@UgoQuinzi) 2 marzo 2017
Facendo quindi seguito con il post Ceneri 2.0 ho ironizzato sulla possibilità, un giorno, di commercializzare il rito dell’imposizione delle ceneri.
Quaresima, tempo di penitenza
Penso sia giusto che la catechesi e la riflessione abbiano sdoganato la Quaresima nel suo significato di rinnovamento e di trasformazione positiva.
Del resto la coincidenza della Quaresima con la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (a certe latitudini dell’emisfero boreale) facilita l’approccio naturalistico. La vita si rigenera, il freddo è vinto dal sole che riemerge dopo il letargo invernale, tutto torna a far sperare.
Le pratiche quaresimali (ceneri, digiuno, elemosina, preghiera) sono variamente interpretate in questo contesto. Come giustamente ha messo in rilievo padre Francesco, la nostra cenere umana viene toccata dal fuoco dell’amore di Dio; e faccio il “digiuno per conoscere i bisogni del mio corpo, ascoltarlo e purificarlo. Faccio elemosina per curare il rapporto con gli altri basato sulla fraternità e la condivisione. Prego per unirmi a Dio e ascoltarlo“.
Nondimeno penso sia importante mettere in risalto il senso della penitenza come nucleo portante della Quaresima. Vorrei mostrare quanto sia profondamente rispettoso della più autentica antropologia rinnovare la percezione del senso penitenziale della Quaresima. Ci viene in aiuto l’esperienza quotidiana.
Per esperienza infatti tutti sappiamo quanto sia più facile perdonare e tollerare una persona che, dopo aver compiuto contro di noi un gesto malvagio, non assume un atteggiamento arrogante e sfrontato, ma si presenta in modo umile e mansueto disposta a riparare in qualche modo il male commesso.
Tutti ci ricordiamo in che maniera i nostri genitori si comportavano quando noi bambini combinavamo qualche marachella: il timore che i nostri genitori ci tenessero il broncio o ci punissero ci portava a chiedere scusa e ad accettare le condizioni che ci venivano date per “fare la pace“.
Il senso più proprio della penitenza parte dal dolore del male commesso, dal timore di perdere il bene di una persona cara, dalla disponibilità a porre rimedio alle conseguenze delle nostre azioni. E arriva quindi a concretizzarsi in atteggiamenti esteriori (come l’abbandono dell’arroganza e della superbia) e in pratiche buone (come un rinnovato rapporto con Dio e con il prossimo, fatto di preghiera e di dono dei propri beni).
Giusto che la Quaresima ci riporti ad affrontare collettivamente questa verità sull’essere umano, su ciascuno di noi: siamo fallibili e di fatto tutti sbagliamo in tante cose, per questo è necessario fare penitenza e convertirsi, dismettere i panni dei moralisti, degli orgogliosi, di chi punta il dito e giudica gli altri e rivestirsi di sentimenti umani e di misericordia. Giusto che tale penitenza si dilati in “un tempo” ben preciso e non breve: hai a disposizione tanti giorni per dimostrare nei fatti che il tuo desiderio di migliorare la condizione umana non è velleitario ma frutto di una scelta meditata.
Vita spirituale sociale
Tra i problemi che affliggono la nostra contemporaneità leggo la recrudescenza dell’individualismo. In ambito spirituale l’individualismo, al pari dell’emozionismo, rappresenta una tentazione mai del tutto sopita. Se compio qualche opera di penitenza lo faccio per me. Se miglioro e mi santifico lo faccio per la mia salvezza. Se celebro qualche sacramento, se vado a messa, se ricevo le ceneri: tutto faccio come se al centro vi fosse il benessere della mia vita interiore.
Penso non ci sia nulla di più autenticamente anticristiano e antiecclesiale dell’individualismo. E parimenti dell’emozionismo. Individualismo ed emozionismo minano alla base ogni credibilità del messaggio cristiano e dell’azione ecclesiale. L’ironia con la quale ho pubblicato il post sulle ceneri da commercializzare fa riferimento esattamente a questi pericoli della spiritualità.
Nel cristianesimo la vita spirituale è un bene personale e proprio per questo un bene sociale, non individuale. Nella persona vi si trova una sostanziale apertura alla relazione, che si concretizza nello scambio sociale come condizione di possibilità di maturazione e crescita. La realtà atomica dell’individuo, considerato come un assoluto in se stesso, boccia ogni possibilità di maturazione e di crescita: se l’individuo basta a se stesso e sperimenta le sue relazioni in forma riflessiva ed egocentrica (per me) costruisce un mondo chiuso e impenetrabile dove ciò che ha senso è solo l’emozione del momento.
La Quaresima come tempo di penitenza ci spinge a riconsiderare la dimensione sociale della nostra vita spirituale. Il rifiuto di rappresentazioni egocentriche ed egoistiche della fede e delle relazioni umane è il primo passo per la vittoria sul male. Così come il recupero di simboli, segni, azioni che rappresentino collettivamente, socialmente il rapporto di ogni credente con Dio, con la propria comunità, con l’umanità, con il mondo dovrebbe rappresentare una priorità della chiesa contemporanea.
Ho sempre pensato che non fosse stato un caso che il Beato Paolo VI al momento di scrivere la professione di fede a conclusione dell’Anno della Fede (1968), interrompendo una tradizione millenaria, sia passato dalla prima persona singolare alla prima persona plurale (qui). Forse si trattava solo di un retorico plurale maiestatis. O forse no.
Ritengo siano ugualmente gravide di conseguenze le parole del Papa, pronunciate in un momento tanto travagliato della vita della chiesa.
Noi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica.
Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all’amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini.