Senso del peccato v/s senso di colpa

Ho dato un’occhiata a questo sito per cercare di capire cosa succede, se siamo impazziti o altro.

Cosa spinge una persona a togliere la vita a se stessa o ad un’altra persona? Si può ridurre tutto ad un fatto di squilibrio mentale?

C’è una correlazione tra la facilità (o forse non è facile, non lo so, non riesco a capacitarmene) con la quale si commette un omicidio o un suicidio e la mancanza del senso del peccato?

Intendiamoci: senso del peccato, che non ha nulla a che vedere con il senso o i sensi di colpa.

Il peccato è una categoria teologica, nasce dall’alto. Dio stabilisce ciò che è peccato e ciò che non lo è. Ciò che fa male all’uomo e ciò che gli fa bene. Bandiamo l’idea che il peccato sia la proibizione di un Dio capriccioso. E dopotutto che gliene importerebbe a Dio di proibire qualcosa per il gusto un po’ sadico di farlo desiderare all’uomo e vederglielo negato? Se c’è da proibire qualcosa, può farlo solo un genitore con il proprio figlio, preoccupato del suo bene. Per anni sono stati i miei genitori a stabilire cosa dovessi mangiare e cosa no. Appena fuori di casa ho cominciato a decidere io e adesso devo curarmi il colesterolo…

Per quanto possa dispiacere alla creatura, essa non riuscirà mai da sola a determinare quale sua azione nel lungo periodo si dimostrerà a lei favorevole e vincente. Senza i suggerimenti amorevoli del Creatore appare persa. Si può non credere in Dio e così la strada diventa in salita. Ma solo perché Dio dovrà trovare strumenti meno invasivi per accompagnare rispettosamente il suo negatore lungo la strada della vita aiutandolo senza troppo apparire perché esso eviti di farsi troppo male.

E poi ci sono quei paletti invisibili piantati nella coscienza (con tutti i retroscena più o meno patologici che piacciono tanto a psicologici e psichiatri e danno loro da mangiare) non si sa bene da chi, cultura, famiglia, società: questo si fa, questo non si fa; questo è giusto, questo è sbagliato. Sembrano messi apposta lì per scatenare tutti i sensi di colpa possibili e immaginabili. Ecco, almeno qui Dio non c’entra; se non perché forse qualcuno se n’è servito, l’ha strumentalizzato per rafforzare il morso della colpa e farlo diventare rimorso.

Ma la colpa è categoria antropologica, nasce dal basso. Ha a che fare con il diritto e le aule di tribunale e con il lettino dello psicanalista. Sì pure la Bibbia parla di colpa, ma la intende come imputazione soggettiva del peccato e quindi rieccoci tornati alla categoria teologica.

Per la grande differenza tra queste due categorie si verificano facilmente paradossi anche dolorosi. Può esserci chi ha commesso un peccato (cioè ha deliberatamente scelto il male) ma non prova nessuna colpa: penso a certe scelte di Hitler nel secondo conflitto mondiale. Può esserci anche chi ha commesso un peccato e non ne prova rimorso, forse avendo rimosso più o meno consapevolmente il senso di colpa. Non so fare esempi, è cosa tanto intima ma non per questo improbabile.

C’è sull’altro versante chi prova sensi di colpa per motivi inesistenti. Potrei fare tanti esempi soprattutto di certe persone scrupolose che vanno a confessarsi tanto spesso per placare i rimorsi affioranti in una coscienza infantile. Reminiscenze di quando si educavano i bambini dicendo che “altrimenti la Madonnina piange” o “a papà dispiace” solo per impedire il furto della marmellata dalla dispensa.

I sensi di colpa possono uccidere. Rileggo il sito, scorro le notizie dei suicidi. E degli omicidi-suicidi. Immagino il tormento interiore che spinge fino ad un gesto estremo. Se fosse stato “senso del peccato” avrebbe portato alle stesse conseguenze? Non so dare una risposta certa, ma mi è chiaro che il peccato è illuminato dalla redenzione e incontra la misericordia nel cuore stesso di Dio. I sensi di colpa boh. Macerano l’anima, i sensi di colpa. Triturano. Asfissiano. Intristiscono. Fino a rendere insopportabile tutto e a decidere di eliminarli a volte tanto drasticamente da “buttare il bambino con l’acqua sporca”.

Il senso del peccato segue il senso di Dio. Perduto questo, l’altro non ha senso. Anzi infastidisce pure, perché finisce per assomigliare troppo al senso di colpa. Non c’è nulla di peggio che dover provare fastidiosi rimorsi per la colpa inesistente di aver compiuto qualcosa che un altro al quale non credo ha deciso al posto mio che mi faccia male. Evaporato il divino tutto diventa caricatura: il peccato è la voluttà di un gelato, che se sei diabetico e goloso stramaledici la glicemia; la colpa è mai tua, sempre degli altri, di quelli che non si stanno zitti e ti rimprovarano una manovra sbagliata in auto, e tu li surgeli con una fiatata.

Poi qualcuno si ritrova con i drammi seri della vita ma non ha più il giusto strumentario teologico e antropologico. Ha solo un brodo in testa, un minestrone di dèi capricciosi, di tentazioni impertinenti, di peccati-non-peccati e di colpe-non-colpe, di futuro incerto e di azioni dai risultati imprevedibili, di film di supereroi e di videogiochi sparatutto.

E alla fine ti resta solo il click tristissimo su un sito che fa soldi contando i morti.