Timeo Danaos et dona ferentis. Perché la Chiesa non deve accettare soldi in regalo dalle Autorità Civili

Finirò come Laocoonte, lo so, stritolato da Porcete e Caribea, mostruosi serpenti marini inviati dalla piccata Atena a punire la profezia: “In quel cavallo – diceva il povero sacerdote – vi è di sicuro un inganno. Non vi fidate, troiani!“.

Temo i Dànai, e più quand’offrono doni” lo fa concludere Publio Virgilio Marone nell’Eneide (libro II, vv 46-49) secondo la traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.

Curiosamente il celeberrimo gruppo marmoreo, copia del perduto originale opera dei rodesi Agesandro, Atanodoro e Polidoro (150 a.C.), è conservato nei Musei Vaticani. Dovrebbe essere lì a perpetua memoria e imperituro monito…

Finirò come Laocoonte per aver scritto questi tweet:

Ma prima di essere stritolato dalle spire dei serpenti voglio spiegare le ragioni che mi hanno spinto a dissuadere le Diocesi sarde dall’accettare l’offerta della Regione Sardegna.

L’antefatto

Il 20 dicembre 2019 Christian Solinas Presidente della Regione Sardegna presenta la delibera per la realizzazione di nove oratori interparrocchiali. Si tratterebbe di strutture che devono restare a disposizione di almeno tre parrocchie.

I contributi (fino al 90% della spesa ammessa) sono stati così ripartiti: Diocesi di Lanusei, Diocesi di Tempio Ampurias e Arcidiocesi di Cagliari 1.350.000 euro ciascuna; Diocesi di Iglesias 900.000; Diocesi di Ozieri 792.225; Diocesi di Ales Terralba 772.200; Arcidiocesi di Sassari 628.650; Arcidiocesi di Oristano 459.000; Diocesi di Alghero Bosa 198.000. I lavori cominceranno nel 2020 con l’obiettivo di terminare entro il 2021.

(fonte: italpress)

Tra i motivi che hanno portato la Regione a stanziare i fondi, e persino ad aumentarli dagli iniziali 5,4 milioni di euro fino a 7.800.075 euro (websitepdf), alcuni sembrano degni di menzione. Gli oratori sono “luoghi di elevata importanza sociale, centri di educazione, presidi per i territori e punti di riferimento per migliaia di ragazzi” (Solinas). Gli oratori “vanno sostenuti perché sono un vero e proprio investimento nei confronti delle famiglie e delle giovani generazioni… In particolari realtà sociali possono rappresentare anche un argine alle devianze giovanili ed alle situazioni di disagio e di emarginazione” (Quirico Sanna, Assessore regionale degli Enti locali).

Il fatto

Il fatto è che esiste una legge dello Stato (legge 1° agosto 2003, n. 206, website • pdf) che riconosce la funzione sociale ricoperta dagli oratori e dagli enti che svolgono attività similari e intende valorizzarla, anche economicamente. Nel 2003 era in carica il secondo Governo Berlusconi, generoso verso la Chiesa cattolica come lo era stata la Chiesa cattolica verso di lui. In forza di questa legge le Regioni cominciarono a far rifluire un fiume di denaro verso le Parrocchie cattoliche e (un po’ meno) verso gli enti delle altre confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato le intese. E continuano ancora oggi.

Perciò la Regione Sardegna non rappresenta un’eccezione nel panorama italiano. Tuttavia svilupperò il mio pensiero a partire dal caso Sardegna per utilizzarlo come esempio valido per l’intera Penisola.

Il fatto da non trascurare è quindi che l’erogazione dei contributi per gli oratori della Regione Sardegna non è cosa nuova: era già avvenuto, per esempio, dal 2010 al 2013 (Presidente Ugo Cappellacci di Forza Italia) in attuazione alla legge regionale 4/2010 “Norme in materia di valorizzazione e riconoscimento della funzione sociale ed educativa svolta attraverso le attività di oratorio e similari” (websitepdf mirror). Se non vado errato si trattava di uno stanziamento di 5 milioni di euro annui.

Il fatto ai margini del fatto è che nel 2018 parrocchie e oratori delle Diocesi sarde risultavano morosi verso Abbanoa, il gestore idrico, per oltre 400mila euro (websitemirror pdf): non un grande segnale di serietà per chi riceve sovvenzionamenti dagli Enti Pubblici.

Il fatto nel fatto è che la Chiesa sarda ad oggi non fa parte del FOI (Forum degli Oratori Italiani). Non è l’unica, a leggere i membri che lo compongono (websitemirror pdf), ma è certamente una discreta anomalia per chi percepisce fondi per gli oratori non far parte del Forum ufficiale degli oratori.

I numeri degli oratori

La risposta più corretta alla domanda “Quanti sono gli oratori e quanti li frequentano?” è: di preciso nessuno lo sa.

Nel 2014 Redattore Sociale stimava che in Italia ci fossero 7000 oratori che accoglievano 2 milioni di ragazzi ogni anno e 300.000 educatori (websitemirror pdf). L’allora Presidente del FOI, don Marco Mori, annunciava un censimento, avvenuto più o meno un anno dopo con “una ricerca promossa a livello nazionale da CEI e FOI e realizzata da Ipsos tra ottobre 2015 e aprile 2016“, come dichiarato da Nando Pagnoncelli, Presidente Ipsos, nella presentazione dei risultati (websitemirror pdf). Su 221 Diocesi invitate a rispondere, solo il 54% ha offerto un contributo. Bene dal punto di vista statistico, dice Paglioncelli, ma non si possono estrarre dati a livello regionale. Quindi non potremo dire nulla della Regione Sardegna come di nessun’altra Regione.

Dall’indagine emerge che il livello di attività degli oratori (cioè l’insieme delle tre iniziative di coordinamento per gli oratori, di formazione e di incontri con i responsabili) è maggiore nelle diocesi del nord (53%) contro il 32% del sud, comprese le isole.

Pagnoncelli sul numero degli oratori offre una cifra minima (rappresentata dalle Diocesi che hanno partecipato all’indagine) pari a 5.637 oratori e una massima (stimata) pari a 8.245 oratori.

Sempre nel 2016 Avvenire riporta i dati forniti dal FOI in apparenza per l’intera penisola (websitemirror pdf). La cifra dei 2 milioni di iscritti viene confermata, quella degli educatori viene portata a 350.000.

Facciamo un conto dozzinale, in assenza di dati certi, a partire dai dati Istat al 1° gennaio 2019 (quindi riferiti a tutto il 2018) su elaborazione Wikipedia: con una semplice proporzione tra popolazione e ragazzi iscritti agli oratori otteniamo che in Sardegna si dovrebbero trovare circa 5.500 iscritti.

Assumiamo che l’età in cui si frequenta l’oratorio sia compresa tra i 5 e i 14 anni. Secondo i dati di tuttitalia (websitemirror pdf) la popolazione sarda in quella fascia di età ammonta a 131.480 unità. Di cui i 5.500 iscritti agli oratori rappresentano il 4,2%.

Le priorità di una Regione

Le priorità di una Regione non le stabilisco io. Potrei persino aggiungere che non le stabilisce il Presidente della Regione. Le stabiliscono i fatti, che spesso si possono sintetizzare nei numeri. Così la Delegazione della Caritas della Sardegna ha cercato di interpretare la realtà, i fatti, con il Report su povertà ed esclusione sociale dall’osservazione delle Caritas della Sardegna (websitemirror pdf). Un primo dato che balza agli occhi è che nell’incidenza dei bisogni i problemi legati all’istruzione praticamente raddoppiano tra il 2007 e il 2017.

Il tema della povertà educativa, soprattutto in Italia, ribadisce l’urgenza di rimettere al centro del dibattito la questione dei NEET (Not in Education, Employment or Training)… In Sardegna, invece, nel 2007 la quota dei NEET era del 21,6%, mentre nel 2014 si è raggiunto l’apice con il 34,2%. Nel 2017 il dato è sceso al 29,1%.

Tutto bene, dunque? Non proprio. In Sardegna il numero degli studenti che abbandona gli studi è maggiore della media italiana. La percentuale degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado ammessi alla classe successiva è la minore della Penisola (86,6%).

La povertà educativa è spesso associata anche alla povertà lavorativa. Come si è già rilevato, persiste in Sardegna una disoccupazione giovanile (nella classe d’età 15-24 anni) fra le più elevate d’Italia (46,8%): un dato che colloca l’Isola al 6° posto. Peraltro, nel periodo 2004-2017, la Sardegna si è sempre collocata entro le prime sei regioni d’Italia per il più elevato tasso di disoccupazione giovanile (15-24enni), raggiungendo persino il primo posto nel 2009. Nel 2017, a livello territoriale il dato più elevato è stato registrato dalla provincia di Oristano col 53,6%, seguita dalle province del Sud Sardegna (53,0%), Cagliari (48,2%), Sassari (46%) e infine Nuoro, con un dato tra i più bassi d’Italia (al 14° posto col 19,2%).

Non sorprende che educazione e lavoro siano tra di loro connessi e che la “povertà” della prima si traduca nella “povertà” del secondo. Sorprende che non se ne sia abbastanza consapevoli da far diventare priorità quella che il Report del 2016 chiama “povertà del mondo giovanile” (p. 27). Così i Vescovi sardi nel loro Messaggio in occasione della XLVIII Settimana Sociale dei Cattolici italiani, che si è tenuta a Cagliari nel 2018 sul tema “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”, scrivono:

Esortiamo, in particolare quanti hanno responsabilità su tali temi, affinché si agisca per favorire l’occupazione dei giovani sardi: sono essi i più vulnerati da un decennio di crisi che ha rallentato il loro ingresso nel mercato del lavoro, bloccandone la mobilità sociale e forzandone quella migratoria… Necessita di migliore considerazione il rapporto scuola-lavoro e, più in generale, un adeguato sostegno alle famiglie nel loro impegno educativo. Temi come la dispersione scolastica e i Neet (i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) costituiscono aspetti imprescindibili di qualsiasi programma di sviluppo integrale delle nostre comunità.

Sarebbe un suicidio sociale, peraltro, dimenticare che l’andamento demografico della Regione Sardegna, nient’affatto dissimile da quello del resto dell’Italia, presenta un quadro prospettico particolarmente preoccupante, come testimonia la piramide delle età. L’evidente contrazione della popolazione e il fatto che gli indici di natalità e di fertilità in Sardegna siano tra i più bassi in Italia fanno pensare che nel medio-lungo periodo, in assenza di elementi che invertano la tendenza o che presentino soluzioni, sarà sempre meno necessario costruire oratori e sempre più urgente occuparsi di ospizi.

I soldi per gli oratori: sì o no?

I soldi per gli oratori no. In tempi di coperta stretta non può che destare preoccupazione che si stanzino fondi pubblici per realizzare oratori e finanziare attività che vedono coinvolti nemmeno il 5% dei ragazzi di una Regione, mentre – più o meno terminata l’età dei giochi – si rischia che i medesimi ragazzi ripetano gli anni scolastici, che abbandonino gli studi prematuramente e che non trovino lavoro.

La risposta della Chiesa a certe sollecitazioni politiche, veri cavalli di Troia attraverso i quali acquisire consenso e foraggiare trasversalità, deve essere improntata al realismo e al Vangelo. Il primo chiede che si destinino risorse economiche, sempre più scarse e sempre più care, per affrontare le questioni più urgenti e soprattutto puntare sulla formazione e sulla qualificazione delle future generazioni, che sono alla base dello sviluppo (o della regressione) sociale. Il secondo esige che ci si prenda cura dei poveri in qualsiasi forma si presentino, fosse pure “povertà educativa” e “povertà lavorativa” con una più intensa azione sociale, se del caso anche rinunciando espressamente ai propri diritti, come sollecita il Concilio Vaticano II:

Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.

Gaudium et Spes, 76